Giosuè Boetto Cohen
Cento anni fa nasceva Sergio Scaglietti. Il carrozziere modenese che ha creato alcune delle auto più belle, e famose, di Ferrari era anche uno dei collaboratori più fidati di Enzo. Con cui ha condiviso gli anni che hanno dato vita al mito Ferrari
Sergio viene mandato a lavorare a 13 anni alla Carrozzeria Modenese a un’ora e mezzo di cammino da casa. La famiglia è povera, il padre è morto l’anno prima. Il giorno di paga gli danno una moneta d’argento da 5 lire, e lui mentre torna al paese nella notte, se la tiene sotto la lingua, come Pinocchio, perché ha paura che gliela rubino. Nel 1937 segue un fratello più grande che apre la sua officina in viale Trento e Trieste. Dall’altra parte dello stradone, al numero 31, ci sono i capannoni della Scuderia Ferrari.
Comincia così la storia di Sergio Scaglietti, il papà della GTO, delle 250 e 275, della Monza e della Testa Rossa. Solo per citare le più celebri. Nato un secolo fa, prima garzone e poi maestro dei battilastra modenesi, uomo di fiducia di Enzo Ferrari, artigiano, industriale, artista. Quello di Scaglietti è uno dei capitoli importanti nel libro di Maranello. Una lunga vita nella fornace dove nascevano le rosse. Vicinissimo all’uomo che le ha inventate. La carrozzeria del fratello Gino è la porta segreta per entrare nel mondo delle corse.
Le Alfa di Ferrari corrono tutte le domeniche, si ammaccano, si rompono. Tornano dai circuiti il martedi e il venerdi debbono ripartire. Il diciassettenne Sergio taglia, salda, modella. Mette le mani sulle auto che il mondo invidia, ascolta gli ingegneri, sente i motori al banco prova, vede passare il circo dei piloti. Sergio ha un debole per il rosso. Fin da bambino, quando lo portano a vedere le prime Mille Miglia: segue un bolide e rimane incantato.
I suoi trattori giocattolo lui li dipinge di rosso. Quando potrà entrare nella Scuderia, anche solo per una commissione veloce, non sarà più capace di uscirne. E infatti trascorre più tempo là che nel garage del fratello. E’ di casa, i vecchi lo trattano bene, gli insegnano qualche trucco del mestiere, anche quello di girare sui tacchi quando scende il Commendatore: dalle sue sfuriate è meglio stare lontano.
Dopo la guerra, comincia a carrozzare le prime Ferrari. - L’ê andéda acsè... (è andata così..) - narra nella biografia, ma anche a tutti quelli che di persona gli domandavano di raccontare. - Verso la metà del 1953 venne in officina un tal Cacciari, produttore di lamiere e appassionato di corse. Aveva fatto un incidente e la sua Ferrari era mal ridotta. La ricarrozzammo quasi interamente - continua Scaglietti - e io apportai alcune modifiche aerodinamiche e di profilatura secondo quanto suggeriva il mio occhio”.
Fatto sta che il proprietario un giorno parlò a Ferrari del giovane artigiano, che aveva rifatto la sua auto più bella che nuova. “L’Omone” decise di attraversare la strada, andare a vedere chi era. Pochi giorni dopo Scaglietti era nell’ufficio del Commendatore, che gli affidava la costruzione della scocca di un nuovo modello: la 500 Mondial. Per la fabbrichetta di quindici operai è una manna, un salto sulla ruota del destino. “Non c’era lavoro a catena e nemmeno in piccola serie – ricorda Sergio nelle sue memorie – ogni unità era diversa dalla altre un manufatto personalizzato, e per costruirla occorreva una settimana”.
Da quel debutto, per cui Sergio rimase insonne alcuni giorni, all’acquisizione della Carrozzeria Scaglietti da parte della Ferrari nel 1973, ci sono vent’anni. La qualità del lavoro svolto, la stima che deve aver legato i due uomini sono evidenti. Anche solo nel fatto che il nome “Scaglietti” rimase sempre sul tetto del capannone, accanto al marchio del Cavallino. E altri trent’anni dopo, nel 2003, la 612 Scaglietti fu l’unica Rossa mai dedicata a un personaggio in vita.
Ricordano i fortunati che vissero quella epopea, che andare a trovare Scaglietti a Modena era una festa. Ancor fuori dalla fabbrica si iniziava a percepire il ticchettio costante dei martelli, che entrando diventava musica, con il basso ostinato delle presse in sottofondo. Poi c’era l’altra musica, quella del dialetto modenese strettissimo, il codice con cui Sergio e il Commendatore si passavano le loro verità. In fabbrica e in pista.
Così, da questa simbiosi positiva, sono nate le Ferrari più preziose di sempre, alcune impostate senza un disegno, uscite dalle mani “col martello e con la forza” .
Sergio Scaglietti è scomparso nel 2011, dopo aver intensamente vissuto novantuno anni. Molto, anzi abbastanza, perché la rivoluzione informatica, la simulazione digitale e il nostro mediocre gusto globalizzato cancellassero quella cultura sopraffina e una manualità invidiabile. Ci lascia la grande lezione del suo mestiere, ma anche quella dell’umiltà, delle sue origini poverissime mai rinnegate, in un mondo che oggi vive di apparenze. E poi l’empatia che sapeva mettere nei rapporti con i suoi operai (arrivarono ad essere 450), ma anche in quelli coi potenti, da Ferrari a Pininfarina (committente e concorrente) e di quella infinita galleria di clienti famosi. Che guardava con ammirazione, sapeva all’occorrenza intrattenere, senza che la sua vita di uomo semplice facesse mai una piega.