Verità e “licenze poetiche” nel film su Enzo
Puntualmente, quando esce un film di carattere storico o biografico, sorgono dubbi o emergono incongruenze: da chi si chiede “sarà andata veramente così?” a chi esprime certezze granitiche e sentenzia che quel dato episodio in realtà è stato inventato di sana pianta.
Non poteva non essere così anche per Ferrari, il film diretto da Michael Mann con Adam Driver, Shailene Woodley e Penélope Cruz e che racconta un anno nella vita del fondatore: il 1957.
Fu un anno esaltante e tragico, un anno di trionfi e di morte, un anno in cui vennero scoperte verità a lungo celate e in cui vennero gettate le basi della Ferrari del futuro. Ovvio che per far rientrare temi così diversi e complessi in una pellicola di poco più di due ore siano state necessarie delle forzature. Così come è altrettanto vero che alcuni momenti che possono sembrare incredibili allo spettatore siano fedeli alla realtà. Si esce dalla sala chiedendosi, per esempio, fino a che punto Enzo fosse cinico o quali fossero i suoi veri rapporti con piloti, clienti e collaboratori.
Noi abbiamo avuto un privilegio. Quello di poter chiedere “la verità” a qualcuno che non solo ha collaborato alla sceneggiatura, ma che più e meglio di ogni altro conosce la Ferrari e chi è stato protagonista della sua storia.
Piero Ferrari, il figlio di Enzo.
Che in questa intervista video svela retroscena e piccole licenze poetiche del film. Come quella di un autografo che un bambino dodicenne chiede al padre.