La buona accoglienza riservata dal mercato alla Dino 206 GT era ormai consolidata. Nasceva quindi l’esigenza di proporre anche una versione spider, che avrebbe soddisfatto un ulteriore segmento di richieste della clientela. Il debutto avvenne al Salone di Ginevra del 1972 ed il pubblico accolse con favore la nuova nata: la linea era rimasta quella personale ed attraente della 246 GT con in più la possibilità di guidare a cielo aperto. Il successo è testimoniato anche dalle cifre: delle circa 4000 246 GT prodotte, 1200 sono in versione spider.
Nel corso del 1969, grosso modo quando la Dino 206 GT stava per lasciare il posto alla successiva 246 GT, Enzo Ferrari era in procinto di raggiungere un accordo con Gianni Agnelli, e la FIAT avrebbe poi rilevato la parte riguardante la produzione in serie di vetture Ferrari. In quel periodo Enzo Ferrari aveva già più di settant’anni: con quell’accordo, oltre ad assicurare un futuro a lungo termine alle sue vetture di serie, si era anche liberato delle quotidiane responsabilità gestionali di quel settore della sua azienda, ed aveva così la possibilità di dedicare più tempo al suo primo amore, il reparto corse.
La Dino 246 GT fece il suo debutto ufficiale al Salone dell’Automobile di Torino nel novembre 1969, anche se la sua produzione in serie era già stata avviata. Alla fine di quell’anno, 81 esemplari della vettura erano già stati completati.
Esteticamente, la 246 GT era quasi identica alla 206 GT che l’aveva preceduta: l’unico particolare che pareva diverso riguardava il bocchettone del serbatoio carburante, ora nascosto da uno sportellino posto sul montante posteriore sinistro. In realtà, le differenze erano ben maggiori di quelle evidenti ad un primo superficiale colpo d’occhio.
Oltre all’incremento della cilindrata da 2 a 2,4 litri, il materiale utilizzato per il blocco motore fu variato e dall’alluminio si passò alla ghisa. Non molto evidente ad uno sguardo poco approfondito fu anche la modifica del passo, che sulla 206 GT era di 2280mm mentre sulla 246 GT aumentò a 2340mm, con un corrispondente incremento della lunghezza totale del veicolo. Fu anche aumentato il diametro scelto per le due coppie di tubi di scarico.
Nel corso del periodo di produzione della 246 GT, dal 1969 al 1974, non furono effettuati cambiamenti significativi. Tuttavia, alcuni dettagli e piccoli particolari furono sostituiti con altri, e la cosa diede origine alle tre serie di vetture conosciute come “L”, “M” e “E”. Ciò indipendentemente dalle diverse versioni di mercato, ed al modello con tettuccio di tipo “Targa” noto come 246 GTS.
A grandi linee, i veicoli della serie “L” furono prodotti dalla fine del 1969 a tutto il 1970. Erano dotati di ruote con gallettone singolo, paraurti angolari anteriori che terminavano all’interno della presa d’aria sul musetto, luci targa incorporate all’interno dei paraurti angolari posteriori, bottone d’apertura del cofano bagagli ed appoggiatesta montati sulla paratia posteriore. Il corpo vettura era realizzato in acciaio ed il cofano anteriore in alluminio.
Le vetture della serie “M” furono prodotte per un breve periodo nella prima parte del 1971. Erano dotate di ruote fissate con cinque bulloni, dispositivo d’apertura del cofano bagagli posteriore posto all’interno dell’abitacolo, appoggiatesta montati sugli schienali dei sedili e piccole modifiche di dettaglio al motore ed al cambio. Anche il telaio era stato oggetto di variazioni: la carreggiata posteriore era aumentata di 30mm.
I veicoli della serie “E” furono realizzati dai primi mesi del 1971 al termine della produzione in serie nel 1974. Queste macchine incorporarono tutte le variazioni intervenute nella serie “M”, assieme ad altre modifiche al propulsore ed al cambio. La posizione di riposo del tergicristallo cambiò: da centrale, divenne alla destra del parabrezza nelle vetture con guida a sinistra, mentre gli esemplari con la guida a destra mantennero la posizione di riposo centrale.
Altre differenze visibili riguardarono il comando d’apertura delle portiere che fu portato sotto l’incavo delle medesime: in precedenza, il dispositivo era situato all’interno di tale incavo. I paraurti angolari anteriori terminavano poco prima dell’apertura della griglia, ed i condotti di raffreddamento sotto i medesimi cambiarono: da semplici aperture rettangolari, divennero circolari. La luci targa posteriori furono realizzate con un elemento rettangolare cromato, fissato sotto la sezione posteriore esterna del vano bagagli.
Una versione riservata al mercato statunitense fu introdotta alla fine del 1971: può essere identificata dagli indicatori di direzione verticali messi sul musetto e dalle luci laterali installate suo parafanghi anteriori. Il modello 246 GTS con tettuccio asportabile rifinito in nero fu lanciato nella primavera del 1972 al Salone di Ginevra.
Oltre alla presenza del tettuccio asportabile, lo si identifica anche per l’assenza del finestrino posteriore, rimpiazzato da un pannello in metallo provvisto di tre sfoghi d’aria rettangolari, destinati a migliorare la ventilazione dell’abitacolo. In una fase successiva della produzione furono adottate delle ruote Campagnolo più larghe e con un disegno diverso da quello delle precedenti Cromodora, abbinate a parafanghi più svasati Inoltre, i sedili furono sostituiti con un modello simile a quelli della “Daytona”, dotato di una lavorazione più elaborata composta di sottili fettucce di pelle. Nei mercati di lingua inglese la nuova configurazione fu soprannominata “Chairs and Flares”.
Come già detto, le vetture furono costruite su un telaio avente un passo di 2340mm, realizzato sulle medesime linee che avevano ospitato la precedente 206 GT. Nel corso del periodo di produzione, il telaio fu modificato due volte e fu identificato con il numero di riferimento interno 607L, 607M e 607E.
La sequenza di numerazione a cifre pari della Dino, iniziata con la 206 GT, continuò ad essere utilizzata durante la produzione in serie. Furono adottati dischi ventilati assistiti da servofreno, inizialmente Girling sulle vetture della serie “L” ed in seguito ATE sui modelli successivi, uniti a sospensioni indipendenti secondo lo schema già visto sulla 206 GT.
La forma della carrozzeria rimase virtualmente identica a quella della 206 GT, tranne per i particolari già menzionati.
Il motore mantenne la configurazione a 65 gradi, con doppi alberi a camme comandati da catena per bancata di cilindri, e la capacità raggiunse i 2418cc. L’alesaggio era di 92,5mm, la corsa di 60mm ed il numero identificativo di riferimento interno era 135 CS. Il blocco cilindri era in ghisa mentre la testa e varie altre fusioni furono realizzate mediante una lega chiamata silumin.
Il propulsore era montato trasversalmente, unito al blocco del cambio a cinque velocità sincronizzate, situato sotto e posteriormente al carter umido del motore. Sulle serie “L” e “M” l’alimentazione era assicurata da una bancata di tre carburatori doppio corpo Weber 40 DCN F/7, mentre la serie “E” adottò i 40 DCN F/13. Tutti furono montati al centro della “V”. Era presente un distributore ed un sistema d’accensione elettronico. La potenza dichiarata era di 195 cavalli.
Nonostante l’evoluzione dello stile della carrozzeria, che derivava dalle Dino costruite per le corse nella categoria Sport, le Dino stradali non ebbero impiego nelle competizioni, a parte sporadiche partecipazioni di privati in eventi secondari e rally a carattere nazionale.
L’unica presenza in una manifestazione internazionale fu alla 24 Ore di Le Mans nel 1972, quando una 246 GT profondamente modificata, con numero di telaio 02678, fu iscritta dal North American Racing Team di Luigi Chinetti. Alla guida si alternarono Gilles Doncieux, Pierre Laffeach e Yves Forester: l’equipaggio portò a termine la corsa al diciassettesimo posto assoluto ed in settima piazza nella classifica riservata alla categoria “Index of Performance”.
Tra il 1969 ed il 1974 un totale di 2487 Dino 246 GT lasciarono gli stabilimenti Ferrari, assieme a 1274 esemplari di 246 GTS realizzati tra il 1972 ed il 1974.