Il prototipo di questa vettura fu presentato al Salone di Parigi del 1962: grazie alla linea senza tempo di Pininfarina, raccolse subito i favori del pubblico.
Il modello si collocava tra la produzione tipicamente corsaiola e quella di lusso: di impostazione essenzialmente sportiva, col suo bel V12 alimentato dai tre carburatori Weber, faceva qualche piccola concessione anche al comfort di marcia. La costruzione della carrozzeria fu opera di Scaglietti per quasi tutti gli esemplari.
La 250 GTO fu il punto più alto dello sviluppo raggiunto dalla 250 GT nei modelli da competizione, pur rimanendo una vettura utilizzabile anche su strade normali. Fece il suo debutto in pubblico alla consueta conferenza stampa che precedeva l’inizio della stagione, nel gennaio 1962, ed era l’unico modello presente con il motore davanti: tutte le sue cugine, monoposto e vetture Sport, presentavano il propulsore in posizione centrale. L’esemplare esposto in quell’occasione era privo dello spoiler in coda, che fu però aggiunto prima del debutto nelle competizioni, avvenuto in marzo sul circuito statunitense di Sebring. In quella 12 Ore che inaugurò la carriera sportiva della macchina, la GTO fu condotta dalla coppia Phil Hill – Oliver Gendebien e terminò la corsa al secondo posto, dietro alla Vettura Sport 250 Testa Rossa, vincendo facilmente la categoria GT: una prestazione notevole per un modello al debutto, che fece da fondamenta per tutto ciò che fu conquistato nei tre anni successivi.
La macchina fu realizzata sul telaio da 2400mm di passo, come la precedente 250 GT Berlinetta passo corto da cui derivava, ma anche se lo chassis era costruito seguendo le stesse linee guida, i tubi utilizzati erano di sezione inferiore ed erano presenti crociere addizionali per aumentare la rigidità torsionale. Il numero di riferimento interno era inizialmente 539/62 Comp, in seguito 539/64 Comp. Analogamente alle 250 GT Berlinetta passo corto, furono installati quattro freni a disco; il freno a mano comandato da un cavo agiva sulle ruote posteriori e la vettura era disponibile con la guida a sinistra o a destra.
Il modello si collocava tra la produzione tipicamente corsaiola e quella di lusso: di impostazione essenzialmente sportiva, col suo bel V12 alimentato dai tre carburatori Weber, faceva qualche piccola concessione anche al comfort di marcia. La costruzione della carrozzeria fu opera di Scaglietti per quasi tutti gli esemplari.
La 250 GTO fu il punto più alto dello sviluppo raggiunto dalla 250 GT nei modelli da competizione, pur rimanendo una vettura utilizzabile anche su strade normali. Fece il suo debutto in pubblico alla consueta conferenza stampa che precedeva l’inizio della stagione, nel gennaio 1962, ed era l’unico modello presente con il motore davanti: tutte le sue cugine, monoposto e vetture Sport, presentavano il propulsore in posizione centrale. L’esemplare esposto in quell’occasione era privo dello spoiler in coda, che fu però aggiunto prima del debutto nelle competizioni, avvenuto in marzo sul circuito statunitense di Sebring. In quella 12 Ore che inaugurò la carriera sportiva della macchina, la GTO fu condotta dalla coppia Phil Hill – Oliver Gendebien e terminò la corsa al secondo posto, dietro alla Vettura Sport 250 Testa Rossa, vincendo facilmente la categoria GT: una prestazione notevole per un modello al debutto, che fece da fondamenta per tutto ciò che fu conquistato nei tre anni successivi.
La macchina fu realizzata sul telaio da 2400mm di passo, come la precedente 250 GT Berlinetta passo corto da cui derivava, ma anche se lo chassis era costruito seguendo le stesse linee guida, i tubi utilizzati erano di sezione inferiore ed erano presenti crociere addizionali per aumentare la rigidità torsionale. Il numero di riferimento interno era inizialmente 539/62 Comp, in seguito 539/64 Comp. Analogamente alle 250 GT Berlinetta passo corto, furono installati quattro freni a disco; il freno a mano comandato da un cavo agiva sulle ruote posteriori e la vettura era disponibile con la guida a sinistra o a destra.
La forma dei corpi vettura in alluminio progettati e costruiti da Scaglietti cambiò pochissimo durante il periodo di produzione, che andò dal 1962 al 1964, ad eccezione di un esemplare unico carrozzato con le linee della 330 LM Berlinetta e delle ultime tre vetture della serie: queste macchine furono vestite con una carrozzeria disegnata da Pininfarina e costruita sempre da Scaglietti. Esteticamente, questi modelli erano molto simili alla Vettura Sport da competizione 250 LM a motore centrale. Quattro esemplari prodotti ad inizio serie furono ricarrozzati con le nuove sembianze nel corso del 1964. Anche se la forma complessiva della carrozzeria non cambiò molto, le differenze nei dettagli sulle vetture prodotte sono evidenti. Nelle prime macchine della serie, erano presenti delle piccole prese d’aria ellittiche per il radiatore, affiancate a fari antinebbia rettangolari. Sempre all’inizio, le prese d’aria deputate al raffreddamento dei freni erano situate sotto il musetto; in seguito divennero verticali e si spostarono nei pressi dei gruppi ottici anteriori ricoperti in Plexiglass, sotto i quali si trovavano le luci di posizione. Lo spoiler di coda era imbullonato al pannello posteriore, e c’erano degli sfoghi per l’aria dell’abitacolo sui pannelli laterali posteriori che sorreggevano il tettuccio. In breve tempo le prese d’aria per il raffreddamento dei freni diventarono circolari, e le luci di posizione si spostarono in una posizione semi incassata ai lati della parte anteriore dei parafanghi. Poco tempo dopo la realizzazione di tutte queste piccole modifiche, lo spoiler di coda fu rivettato e divenne parte integrata del corpo vettura.
L’unità motrice era essenzialmente una versione a specifiche 250 Testa Rossa del V 12 da tre litri con singolo albero a camme in testa per bancata di cilindri, progettato da Gioachino Colombo, con alesaggio e corsa di 73mm x 58,8mm ma lubrificazione a carter secco e numero di riferimento interno 168 Comp/62. Le candele d’accensione erano situate all’esterno della “V” del blocco motore, l’alimentazione era assicurata da una batteria di sei carburatori doppio corpo Weber 38 DCN, era presente una doppia bobina e i distributori d’accensione si trovavano nella zona posteriore dell’unità motrice. La potenza dichiarata era di circa 300 CV. Il motore era abbinato ad un nuovo cambio di velocità a cinque rapporti sincronizzati con una torretta di selezione a settori, sita nell’abitacolo, molto simile a quelle utilizzate nei modelli Sport da competizione dalla metà degli anni cinquanta. Il moto era trasferito mediante l’albero di trasmissione al ponte rigido posteriore, dotato di parallelogramma di Watt. Come si confaceva ad una vettura destinata alle competizioni, l’assale posteriore era disponibile con un’ampia gamma di rapporti.
I primi sviluppi del nuovo modello furono mantenuti segreti, e Giotto Bizzarrini fu incaricato di realizzare una vettura in grado di battere la Jaguar “E” Type. In varie interviste nel corso degli anni, Giotto dichiarò di aver ricevuto come base su cui lavorare per il nuovo progetto un telaio 250 GT Boano. Tuttavia, le registrazioni ufficiali dell’azienda affermano che gli fu affidato un telaio 250 GT “passo corto”, chassis n. 1791 GT, su cui realizzare la nuova vettura. Alla sua prima uscita sul circuito di Monza nel settembre 1961, prima del Gran Premio d’Italia, la macchina si guadagnò il soprannome di “Mostro”, a causa del suo corpo vettura realizzato in modo piuttosto raffazzonato. Durante le sessioni di prova, la macchina fu guidata da Stirling Moss e fece segnare dei tempi formidabili: prestazioni che la 250 GT “passo corto” non era mai riuscita ad avvicinare. Più tardi quell’anno avvenne in Ferrari la famosa “rivoluzione di palazzo” e Bizzarrini si ritrovò fuori dall’azienda: la costruzione definitiva del corpo vettura fu affidata a Sergio Scaglietti, che ci regalò la forma definitiva della GTO.