La stagione 1964 arriva al suo epilogo. Già due volte nella storia il campionato del mondo era arrivato al suo ultimo atto ancora aperto: nel 1958, quando a contendersi il titolo erano stati il ferrarista Mike Hawthorn e Stirling Moss con la Vanwall, e nel 1962, con l’iride sospeso tra Graham Hill, con la BRM, e Jim Clark, con la Lotus. Sempre un affare tra britannici dunque: nel 1964 si riesce a fare anche meglio, dal momento che sono tre i piloti del Regno Unito che possono conquistare l’alloro iridato nel Gran Premio del Messico. In testa alla classifica c’è Graham Hill, su BRM, con 39 punti; a quota 34 c’è John Surtees, con la Ferrari; quattro lunghezze più indietro Clark con la Lotus. Tra i Costruttori la Ferrari guida con 43 punti contro i 42 della BRM e i 37 della Lotus.
A causa del regolamento, che prevede di considerare validi solo i sei migliori risultati sulle dieci gare stagionali, la leadership di Hill è meno salda di quanto possa apparire. Il regolarista per eccellenza dovrà infatti scartare un risultato se farà meglio di quarto e virtualmente è come se avesse appena due punti in più di Surtees e sei più di Clark. Il pilota della BRM è dunque campione se vince la gara; se arriva terzo e Surtees non vince; se Clark non vince e Surtees non fa meglio di terzo. Al pilota della Ferrari serve una vittoria o un secondo posto con Hill non meglio di quarto. Clark deve vincere con Surtees non meglio di terzo e Hill non meglio di quarto.
Il circuito messicano si trova a 2.500 metri di altitudine, all’interno di un grande parco dedicato agli sportivi non lontano dal centro di Città del Messico. Il fatto di gareggiare così in alto fa sì che l’aria sia rarefatta e che i motori perdano fino a 25 cavalli di potenza. Anche i parametri delle gomme sono tutti da ritarare, una sfida per ingegneri e meccanici tanto intrigante quanto complicata, al punto che Clark nelle prove gira sia sulla Lotus 25B dell’anno precedente, di cui i tecnici si erano potuti annotare le regolazioni, che sulla nuova 33, che alla fine decide di usare.
Le qualifiche confermano che la scelta dello scozzese è corretta dal momento che è lui ad ottenere la pole position in 1’57”24, 86 centesimi meglio della Brabham di Dan Gurney, rispettivamente 1”3 e 1”4 meglio delle Ferrari di Lorenzo Bandini, con la vettura dotata del motore 12 cilindri, e Surtees, con la con propulsore V8. Hill è sesto a 2”56 dal capoclassifica. Da notare che le Ferrari, come già nel precedente Gran Premio degli Stati Uniti, non sfoggiano la consueta livrea rossa bensì i colori delle vetture statunitensi. In effetti ad iscriverle non è la Scuderia Ferrari ma il North American Racing Team (NART) di Luigi Chinetti, importatore e amico di Enzo Ferrari. Alla base di questa scelta c’è una diatriba tra il fondatore e le autorità sportive italiane che, a detta di Enzo, non lo hanno supportato adeguatamente nel processo di omologazione della 250 LM per le gare di durata. La Ferrari ne chiedeva l’omologazione come vettura Gran Turismo, invece viene deciso che deve competere tra i prototipi. In seguito a questa vicenda Ferrari ha deciso di restituire alle autorità italiane la licenza di costruttore e ha affidato le monoposto al team NART che le ha dunque vestite con i colori nazionali degli Stati Uniti: il blu e il bianco.
Al via Clark scatta alla perfezione, mentre Surtees accusa qualche problema e si muove a rilento al pari di Hill, che è stato piantato in asso dall’elastico dei suoi occhiali proprio nell’imminenza della partenza e deve perdere tempo a cercare quelli di scorta. Alla fine del primo giro Clark è in testa con due secondi su Gurney e Bandini, mentre Hill e Surtees sono rispettivamente al decimo e al 13° posto. Dopo altre cinque tornate i due sono sesto e settimo in lotta per la quarta posizione, mentre al 18° giro Clark comanda su Gurney, Hill, Bandini e Surtees.
Dieci giri più tardi Bandini inizia a mettere sotto pressione Hill, che al 30° passaggio, al tornantino, agita un minaccioso pugno verso l’italiano, reo di andargli troppo pericolosamente vicino in certi punti della pista. Il patatrac accade al giro successivo, quando la Ferrari attacca la BRM proprio al tornantino. Bandini e Hill vengono a contatto e finiscono in testacoda. Entrambi sono in grado di riprendere ma vengono superati da Surtees che si prende la terza piazza. Sulla BRM dell’inglese tuttavia ci sono dei danni che gli impongono due soste ai box e lo tolgono dai giochi. Bandini invece è in gran forma, al punto di andare a raggiungere e superare Surtees.
A otto tornate dal termine Clark, che è al comando, finisce lungo al tornantino su una striscia d’olio. Al giro seguente lo scozzese capisce che il lubrificante che in quel punto rende l’asfalto scivoloso proviene dal motore della sua vettura: si è rotto un condotto dell’olio, non ci sono cure, bisogna provare ad arrivare in fondo. Il pilota rallenta, cerca di scuotere la vettura il meno possibile, ma inizia l’ultimo giro imprecando con le braccia alzate, con del vistoso fumo bianco che esce da dietro la sua Lotus. Poco dopo Gurney e Surtees, che nel frattempo ha ricevuto nuovamente strada da Bandini, lo superano e viaggiano verso il traguardo classificandosi nell’ordine.
In modo del tutto rocambolesco John Surtees vince dunque il titolo per un punto su Hill. È il primo e unico caso di un campione del mondo su due ruote che riesce a conquistare anche il titolo in Formula 1: ora è veramente l’eroe dei due mondi. La festa è completata dalla vittoria della Ferrari nella classifica Costruttori: per la Casa di Maranello è il secondo titolo della storia.