“Quando nel 1951 José Froilàn Gonzalez, su una Ferrari, per la prima volta nella storia dei nostri confronti diretti, si lasciò alle spalle la 159 e l’intera squadra dell’Alfa Romeo, io piansi di gioia, ma mescolai alle lacrime di entusiasmo anche lacrime di dolore, perché quel giorno pensai: io ho ucciso mia madre”. Così Enzo Ferrari scrisse nel suo libro Ferrari80. La madre era proprio l’Alfa Romeo, di cui era stato collaudatore, pilota e responsabile del reparto corse. Gonzalez aveva sconfitto le 159 di Juan Manuel Fangio e Giuseppe Farina, fino a quel momento imbattibili in Formula 1, e il successo tanto atteso, aveva permesso a Enzo Ferrari di rivivere il suo passato.
Era un sabato, quel 14 luglio 1951 a Silverstone, in Gran Bretagna. Gonzalez, partito dalla pole position, la prima mai ottenuta da lui e dalla squadra, ebbe la meglio sul connazionale Fangio e tagliò il traguardo vittorioso con un margine di oltre 50 secondi. Una doppia sfida tra uomini e tra macchine: un duello argentino e italiano per il primato, lungo oltre 400 chilometri. Novanta giri che il primo classificato completò in 2 ore, 42 minuti e 18 secondi. Distanze folli, se pensiamo a quanto erano spartani e faticosi da guidare i mezzi dell’epoca. Fu una gara combattuta, con sorpassi e controsorpassi, e la vittoria di Gonzalez fu anche un po’ merito della signorilità del caposquadra Alberto Ascari , che rifiutò la proposta di usare l’auto del compagno, operazione consentita dal regolamento, dopo che era stato costretto al ritiro da un guasto al cambio. La Ferrari 375 aveva il vantaggio di consumare meno benzina dell’Alfa Romeo, e poteva quindi effettuare un minor numero di soste o rifornire in meno tempo rispetto ai rivali.
Al rientro in pista dopo l’unica sosta al box Gonzalez riuscì ad avere lo spunto determinante per prendere abbastanza vantaggio su Fangio e tagliare il traguardo per primo sul tracciato del vecchio aeroporto militare inglese. Al terzo posto si classificò l’altra Ferrari 375 di Luigi Villoresi. José Froilan Gonzalez era soprannominato “El Cabezon” per le dimensioni del capo, che ciondolava a ogni curva, ma qualcuno in patria lo chiamava anche “il Toro della Pampa”, per il suo stile aggressivo. La sua posizione di guida era particolare, con i gomiti larghi, quasi fuori dall’abitacolo, le mani sulla parte alta dello sterzo e il busto che seguiva l’andamento del percorso, quasi proteso ad accompagnare la propria monoposto lungo le sinuosità dell’asfalto. Era uno che non mollava mai: per questo piaceva a Enzo Ferrari.