La necessità di espandere il potenziale mercato era diventata imperativa come pure l’esigenza di diminuire i costi industriali. La presenza “in casa” del prototipo Dino 196 S rendeva possibile pensare ad una versione “stradale” attorno ai due litri, da mettere in produzione, per la prima volta in casa Ferrari, mediante catena di montaggio. Pininfarina disegnò una vettura dalla linea molto morbida e classica, il V6 di derivazione Fiat fu riveduto in Ferrari, anche allo scopo di adattarlo alla sistemazione centrale e trasversale. In principio ci fu qualcuno che non la prese come una vera Ferrari, ma dopo averla vista e guidata cambiò rapidamente idea.
La Ferrari motorizzata con un propulsore di piccola cubatura, naturalmente in confronto agli altri modelli presenti nella gamma offerta in quel periodo, fu realizzata grazie ai nuovi regolamenti delle corse monoposto di Formula 2 emanati nel 1967. Le nuove norme prevedevano che il motore di quelle vetture da competizione fosse derivato dalla produzione di serie, inoltre doveva essere realizzato in almeno cinquecento unità l’anno.
In quegli anni la Ferrari non aveva una capacità produttiva sufficiente per costruire tutti quei motori, pertanto fu necessario stringere un’alleanza con la FIAT, che rese possibile la partecipazione della Casa di Maranello a quelle competizioni. La FIAT avrebbe costruito i propulsori, e li avrebbe utilizzati in una vettura d’alta gamma a motore anteriore denominata Dino. Inoltre, il colosso torinese avrebbe fornito quelle unità motrici anche alla Ferrari, e tutti i modelli realizzati avrebbero adottato il nome Dino.
Il nome Dino fu utilizzato per la prima volta sulle vetture Ferrari verso la fine degli anni cinquanta, e designava le monoposto di Formula 1 ed i veicoli della categoria Sport. Dino (Alfredo – N.d.T.) era il nome di battesimo del figlio di Enzo Ferrari, mancato nel 1956, e poiché il giovane prima di aggravarsi stava lavorando sul progetto di un motore a “V”, quando passò a miglior vita si pensò di adottarne in sua memoria il nome su vari modelli. Questa denominazione continuò ad essere utilizzata per identificare i veicoli con motore V6 e V8 nel corso dei primi anni sessanta, ed in seguito nel 1965 il modello Sport 166 P con motore centrale, divenuto poi 206 SP e 206 S. In effetti, questa fu la prima vettura a portare sul cofano il marchio “Dino” al posto dello stemma Ferrari. Il badge aveva forma di un rettangolo orizzontale con la scritta stilizzata di colore blu su campo giallo.
Più tardi, nel 1965, in occasione del Salone di Parigi, nello stand di Pininfarina fu esposto un prototipo con motore centrale, e fu battezzato “Dino 206 GT Speciale”. La vettura era uno studio riguardante il progetto per un veicolo stradale, basato sul telaio dei modelli Sport da competizione, ed aveva il propulsore in posizione centrale e longitudinale.
Quest’esemplare aveva i gruppi ottici anteriori protetti da una copertura in perspex, che si estendeva per tutta la larghezza del musetto. A parte questo particolare, la forma era quella che sarebbe poi stata deliberata per la vettura stradale di serie. L’abitacolo era caratterizzato da un basso lunotto verticale, concavo ed incurvato, che si trovava alla fine dei montanti posteriori. L’altra estremità dei montanti, invece, terminava sulla coda tronca.
Dopo questo prototipo ne seguì un altro, presentato al Salone dell’Automobile di Torino nel 1966, che aveva ancora una configurazione con il motore centrale longitudinale. L’esemplare era dotato di una presa d’aria ellittica per il radiatore, ed i gruppi ottici erano montati sui parafanghi, sempre protetti da una copertura in perspex. L’abitacolo aveva un tettuccio più alto, con lunotto e montanti posteriori simili a quelli del prototipo precedente. I quattro paraurti angolari testimoniavano l’evoluzione del veicolo da concept car a vettura di normale produzione. Quando nel corso del 1967 appari il prototipo successivo, il corpo vettura aveva raggiunto la forma pressoché definitiva. Il cofano motore e quello del vano bagagli erano ancora realizzati con un pannello unico, ed il listello in metallo nell’incavo delle portiere era scomparso. Al suo posto furono installate le maniglie d’apertura già viste sulla 365 GT 2+2 da poco annunciata, e le ruote rispecchiavano quelle installate sotto la FIAT Dino. Tuttavia, la variante più notevole si trovava sotto il cofano motore, poiché il V6 era stato ruotato di 90° ed aveva quindi assunto una posizione trasversale. Il cambio a 5 marce era messo in un blocco, posizionato dietro e sotto il propulsore. Il progetto, lo sviluppo e la realizzazione della trasmissione fu portata a termine all’interno della Ferrari.
Quando venne l’ora dell’edizione 1967 del Salone dell’Automobile di Torino, la rifinitura riguardante i dettagli della carrozzeria era virtualmente terminata, e l’esemplare esposto era in sostanza identico alle vetture di normale produzione che lo seguirono. Le differenze più evidenti rispetto ai prototipi primigeni si notarono nella comparsa di due gruppi di tripli sfoghi d’aria radiatore sul cofano anteriore, con file di corrispondenti sfoghi d’aria per il vano motore posti sul cofano ad esso dedicato. L’angolo formato dal parabrezza era diventato più ampio, ed i cofani del vano motore e del vano bagagli furono separati. La stessa vettura fu esposta nel gennaio 1968 al Salone di Bruxelles, prima di essere utilizzata a scopo di test. La versione definitiva di produzione perse le coperture in perspex dei gruppi ottici anteriori, e guadagnò i deflettori sui finestrini delle portiere. Il modo migliore per distinguere una 206 GT dalla sorella venuta dopo di lei, la 246 GT, è di cercare il bocchettone esterno e cromato per il rifornimento del carburante, posto sul montante posteriore sinistro.
La produzione iniziò durante il 1968 e si protrasse fino al 1969, quando il propulsore da due litri fu rimpiazzato dall’unità da 2400cc. Furono variati anche altri dettagli, e nacque la Dino 246 GT. Nel corso del periodo di produzione, durato nove mesi, furono realizzati circa 150 Dino 206 GT, tutte con guida a sinistra. Le vetture di serie furono costruite su un telaio con un passo di 2280mm, realizzato secondo i tradizionali principi della Ferrari: tubolari principali di tipo longitudinale con bracci incrociati e sotto-telai incaricati di supportare i vari elementi del corpo vettura. Il numero di riferimento interno era 607. Per queste vetture che mostravano sul cofano il marchio “Dino” fu adottata una nuova sequenza di numerazione con cifre pari, che le distingueva dalle Ferrari stradali prodotte nello stesso periodo: queste ultime, infatti, avevano la sequenza di numerazione con le cifre dispari. I primi prototipi avevano sia i numeri di telaio in cifra pari, come le Ferrari da competizione, sia i numeri di telaio in cifra dispari, come le vetture del Cavallino pensate per un uso stradale.
Ogni ruota era dotata di freno a disco ventilato, sospensione indipendente con bracci oscillanti, molla elicoidale ed ammortizzatore idraulico. Barre antirollio erano presenti su entrambe gli assi. Le linee eleganti della vettura, con il loro stile rotondo che partiva dalla morbida curva del parafango anteriore e s’inseriva nell’abitacolo, dotato di pannelli porta con incavo, e proseguiva poi con la rotondità del parafango posteriore e relativo montante che terminava bruscamente nella coda tronca, ottennero un apprezzamento pressoché universale. Ancora al giorno d’oggi, quelle forme sono considerate un classico del design. Stranamente per quei tempi, quando la maggior parte delle Ferrari era realizzata con corpi vettura in acciaio e pannelli apribili in alluminio, la Dino 206 GT fu costruita totalmente in alluminio. Il pannello di coda accoglieva su ogni lato una coppia di luci circolari, secondo uno schema utilizzato anche sul modello 365 GTB4 “Daytona”, presentato quasi nello stesso periodo. Le due vetture si somigliavano anche nel gruppo strumenti, di forma ovale e rifinito in alluminio, dotato di indicatori circolari con fondo nero.
Il motore adottava una configurazione a 65 gradi, con doppi alberi a camme in testa per bancata comandati da catena, ed aveva una cilindrata totale di 1987cc. L’alesaggio era di 86mm, la corsa di 57mm, ed il numero di riferimento interno era 135 B. Il blocco cilindri era fuso in una lega nota come silumin, le camice dei cilindri erano in ghisa mentre la testata e molte altre fusioni erano di una lega similare. Il propulsore era montato trasversalmente assieme al blocco del cambio a cinque marce sincronizzate, posto dietro e sotto il carter umido del propulsore. L’alimentazione era assicurata da una batteria di tre carburatori doppio corpo Weber 40 DCN F/1, montati nel centro della “V”. Era presente un distributore e l’accensione era di tipo elettronico. La potenza dichiarata raggiungeva i 180 cavalli.
Nonostante la Dino fosse stata pubblicizzata come marchio separato, il retaggio Ferrari non fu perduto nella commercializzazione della vettura: sui depliant pubblicitari, infatti, era definita “piccola, brillante, sicura… quasi una Ferrari”.