Il motore di questa vettura fu presentato su un telaio della 375 America al Salone di Parigi nell’ottobre 1955. In seguito, al Salone di Bruxelles del 1956, la prima 410 Superamerica fu svelata al grande pubblico. L’elegante carrozzeria colpiva per le sue generose dimensioni ed era opera di Pininfarina. Fatto curioso: da questo modello destinato alla normale produzione derivarono alcune versioni “Sport”, sovvertendo la tipica prassi in uso presso la Ferrari.
La 410 Superamerica nacque come erede del modello 375 America: fu presentata sotto forma statica al Salone di Parigi del 1955 ed in seguito, nei primi mesi del 1956, come vettura completa al Salone di Bruxelles.
Di questo modello tra il 1956 ed il 1959 furono realizzate tre serie, in produzione veramente limitata. Le vetture appartenenti alla prima serie furono generalmente costruite su un telaio con un passo di 2800mm ma, come di consueto in quel periodo, ci furono anche delle eccezioni. Tra il 1956 ed il 1957 entrarono in scena le macchine appartenenti alla seconda serie, realizzate su un telaio con un passo di 2600mm. La terza serie fece la sua comparsa nel tardo 1958 al Salone di Parigi, sempre su telaio da 2600mm ma con una nuova carrozzeria disegnata da Pinin Farina.
In apparenza, la forma della vettura presentata al Salone di Bruxelles nel 1956 era molto simile alla nuova linea della 250 GT coupè di Pinin Farina, che si sarebbe poi evoluta nei modelli 250 GT Boano ed Ellena. Questo tipo di carrozzeria vestì la maggior parte delle macchine prodotte nella prima e nella seconda serie, ma ci furono un po’ di esemplari unici che esibirono corpi vettura radicalmente diversi. Poiché i modelli 410 Superamerica erano autoveicoli molto costosi ed esclusivi, destinati a clienti facoltosi, per assecondare i desideri specifici degli importanti committenti ci furono differenze di dettaglio persino sulle coupè standard.
L’offerta di esemplari unici da parte delle vetture appartenenti alla prima ed alla seconda serie fu quanto di più stravagante abbia mai ornato un telaio Ferrari.
Pinin Farina realizzò due studi “Superfast” completamente differenti. Il primo fu mostrato al Salone di Parigi del 1956, su telaio n. 0483SA, e proponeva un tettuccio sporgente privo di montanti del parabrezza anteriore (aggiunti in un secondo tempo prima di mettere in vendita la vettura), seguito da una notevole coda a pinne che incorporava nel bordo di fuga i gruppi ottici posteriori di forma triangolare. La macchina fu presentata in tinta bicolore, bianca su azzurro pallido metallizzato, i due colori erano separati da una finitura cromata che percorreva la carrozzeria da un lato all’altro dell’ampia griglia ovale del radiatore.
La seconda “Superfast”, costruita su chassis n. 0719SA, fu presentata al Salone di Torino del 1957. Pur abbastanza simile alla precedente nel frontale e nella zona dell’abitacolo, era dotata di una coda più discreta ed elegante che si abbinava in modo più armonioso con le linee curve presenti nella parte anteriore della vettura. Il più importante costruttore di carrozzerie dedicate alle Ferrari da competizione, Scaglietti, vestì un esemplare su telaio n. 0671SA che, ancora una volta, era provvisto di pinne posteriori, dimostrando l’influenza degli stilemi d’oltreoceano sulle macchine pensate principalmente per il mercato americano. Su questa macchina l’utilizzo dell’acciaio inossidabile non verniciato per il tettuccio e per i pannelli dei sottoporta e delle pinne, generava un forte contrasto con il resto del corpo vettura, di colore rosso scuro.
La Carrozzeria Boano diede la sua interpretazione sul tema delle pinne con una coupè realizzata sul telaio n. 0477SA, che aveva la particolarità di essere provvista di un lunotto diviso in due parti separate. Sul telaio n. 0485SA, Boano costruì anche una cabriolet con linee simili a quelle della coupè: entrambe le vetture erano dotate di pinne posteriori ricurve. In ogni caso, fu Ghia a conquistare il premio per le pinne più grandi e più lunghe, con la sua proposta sullo chassis n. 0473SA, ispirata alle sue precedenti dream car “Gilda” e “Dart” realizzate per la Chrisler.
I telai della prima e della seconda serie, con numero di riferimento interno 514 e passo da 2600mm oppure da 2800mm, furono numerati con le cifre dispari tipiche delle vetture destinate ad uso stradale, seguite dal suffisso SA. Concettualmente, queste automobili erano simili ai coevi modelli 250 GT, dove i tubolari principali del telaio passavano superiormente all’assale posteriore, contrariamente a quanto accadeva sulla 375 America dove questi elementi dello chassis passavano inferiormente. Sempre rispetto alla 375 America, furono incrementate le carreggiate anteriori e posteriori. Le sospensioni anteriori erano indipendenti con bracci oscillanti, molle ed ammortizzatori individuali mentre il ponte posteriore di tipo rigido era supportato da balestre semi ellittiche ed era dotato di ammortizzatori idraulici. Freni a tamburo comandati idraulicamente erano presenti sulle quattro ruote, mentre il freno a mano agiva per mezzo di un cavo sull’assale posteriore.
I motori della prima e della seconda serie, con numero di riferimento interno 126, rappresentavano un successivo sviluppo dell’unità a blocco motore “lungo” utilizzata sulla 375 America. La cilindrata però era stata portata a 4962cc, incrementando l’alesaggio da 84mm a 88mm e lasciando invariata la corsa, rimasta a 68mm. Erano presenti una batteria di carburatori doppio corpo Weber 40 DCF, una doppia bobina e distributore sul sistema d’accensione per una potenza dichiarata di 340hp. Il propulsore era abbinato ad un cambio a quattro marce completamente sincronizzato che trasmetteva il moto al ponte rigido posteriore, disponibile con una vasta scelta di rapporti.
Il motore della prima Pinin Farina “Superfast” fu dotato di due candele d’accensione per cilindro, una soluzione sviluppata direttamente sulle monoposto di Formula 1 e sulle automobili da corsa della categoria “Sport”. Erano poi presenti dei carburatori maggiorati a doppio corpo da 42 millimetri.
Il telaio delle vetture appartenenti alla terza serie, che aveva numero di riferimento interno 514/A, aveva un passo di 2600mm. Anche questi chassis furono numerati adottando la sequenza di cifre dispari tipica delle automobili stradali, seguita dal suffisso “SA”. I componenti meccanici del telaio erano uguali a quelli delle serie precedenti. La linea disegnata da Pinin Farina era comune a tutte le tre serie con l’eccezione del prototipo allestito come show car, che aveva una finestratura a cinque luci, mentre tutte le automobili costruite in seguito furono realizzate con la finestratura a tre luci. Tuttavia, continuarono ad essere presenti delle piccole differenze da vettura a vettura, e quelle più evidenti interessarono i gruppi ottici anteriori: alcune macchine li avevano scoperti mentre altre li presentavano arretrati nel parafango, provvisti però di carenatura in Perspex.
Il motore della terza serie, con numero di riferimento interno 126/58, fu dotato di teste cilindri riprogettate che presentavano le candele d’accensione all’esterno della “V”: fino ad allora, tutti i propulsori Ferrari destinati alle vetture stradali avevano avuto le candele d’accensione all’interno della “V”. Questa caratteristica apparve in seguito anche sull’unità motrice da tre litri destinata alla serie 250 GT. Fu questo lo sviluppo finale del motore a “blocco lungo” di Aurelio Lampredi, dotato di camicie dei cilindri avvitate sulla testata: da questo momento in poi fu adottata sulle unità motrici di tutte le cilindrate una soluzione più convenzionale che prevedeva l’accoppiamento meccanico delle camicie e l’utilizzo della guarnizione della testa.
Una particolarità poco comune di questo propulsore riguarda le bielle: furono ricavate dal pieno, una lavorazione riservata di solito ad alcuni motori Ferrari da competizione, invece che forgiate come avveniva normalmente. La batteria di carburatori installata fu di tre unità a doppio corpo Weber 46 DCF3, mentre l’accensione fu realizzata con sistema a doppia bobina e distributore. La potenza dichiarata era di 360 cavalli. L’unità motrice fu abbinata ad un cambio a quattro marce completamente sincronizzato che presentava una disposizione delle marce diversa da quella presente sui precedenti modelli Superamerica. La trasmissione ed il ponte posteriore con vari rapporti disponibili, invece, erano uguali a quelli utilizzati dalle vetture delle prime due serie.