Prodotta in due serie tra il 1960 ed il 1964, fa parte di quei modelli d’alta gamma che erano costruiti in base ai desideri del cliente. Un grande V12 da quattro litri, con tanta potenza ma anche molta coppia, interni sobriamente lussuosi, assetto rigido ma in grado di garantire un discreto comfort, cambio di velocità con “overdrive”. Le carrozzerie, tutte di Pininfarina, comprendevano le tipologie spider, cabriolet e coupé aerodinamico, oltre ai famosi modelli unici Superfast II, III e IV.
La serie di vetture 400 Superamerica raccolse l’eredità dei precedenti modelli 410 Superamerica, e restò in produzione dal 1959 al 1964. Con queste automobili, per la prima volta la Ferrari rinunciò alla consuetudine di battezzare le vetture con il numero indicante la cilindrata unitaria del motore: in questo caso, infatti, il “400″ si riferiva alla cilindrata totale dell’unità motrice, che su questa vettura era di quattro litri. Tranne due esemplari, tutte le 46 automobili di questa serie furono disegnate da Pinin Farina (la società mutò il suo nome in Pininfarina solo nel 1962), e la maggioranza di questi esemplari fu concepita in forma di coupè.
La prima vettura prodotta fu un esemplare unico con carrozzeria speciale realizzato sul telaio 1517 SA per conto di Gianni Agnelli, costruito verso la fine del 1959 e presentato al Salone dell’Automobile di Torino nell’ottobre dello stesso anno. La sua linea era caratterizzata da una griglia del radiatore piuttosto squadrata che si estendeva quasi fino al fondo del musetto, ai lati della griglia erano stati collocati i semi paraurti avvolgenti. Nel disegno erano presenti elementi stilistici di scuola americana, con il parabrezza avvolgente e i doppi gruppi ottici anteriori orizzontali, al di sotto dei quali erano stati installati i fendinebbia singoli. Le luci posteriori prevedevano una cornice cromata verticale sui due lati che incorporava tre gruppi ottici circolari, poi adottati anche nella produzione in serie delle 400 SA cabriolet, nei primi esemplari delle coupè e nella 250 GTE, entrata in produzione nel 1960.
Tra il Salone di Torino e la consegna al cliente alla fine di maggio 1960, l’estetica della vettura fu affinata. La parte frontale fu modificata per ridurre le dimensioni della griglia radiatore, rimasta in ogni caso di forma quadrata e che ora vedeva sotto di lei un unico paraurti. Le prese d’aria orizzontali che erano presenti sopra i due paraurti avvolgenti scomparvero, mentre quella sul cofano motore fu modificata e fu aggiunta una striscia cromata sulla nervatura ai lati della carrozzeria, con lo scopo di renderla più evidente.
Il secondo esemplare, ma il primo della produzione in serie, fu la cabriolet con telaio n. 1611 SA che fece il suo debutto al Salone di Bruxelles nel gennaio 1960, e poche settimane dopo fu esposta al New York Show. La forma della 400 SA cabriolet era abbastanza simile a quella di una contemporanea 250 GT cabriolet, anche se la sua griglia anteriore era meno profonda e alle sue estremità di solito erano presenti i fari antinebbia. In qualche caso fu installato un proiettore anteriore supplementare, sito in posizione centrale. Poiché queste erano automobili molto costose e di limitata produzione, i clienti avevano la possibilità di ottenere ampie personalizzazioni e quindi non ci sono due vetture identiche in ogni dettaglio. Una delle scelte più rilevanti, era la possibilità di avere i gruppi ottici anteriori di tipo tradizionale oppure incassati nella carrozzeria e protetti da una copertura in plexiglas. Quando un cliente sceglieva l’opzione con i proiettori tradizionali su una “coupè aerodinamica”, l’intero aspetto frontale della vettura cambiava e la forma della griglia radiatore diventava come quella utilizzata sulle cabriolet. Un esemplare, con telaio n. 2311 SA, ricevette un corpo vettura virtualmente identico a quello della 250 California Spider, aveva la guida a destra e fu costruito appositamente da Scaglietti per Michiel Paul-Cavalier, membro del consiglio direttivo della Ferrari. Un altra vettura, con numero di telaio 3673 SA, fu carrozzata con le linee della 250 GT berlinetta “passo corto”. E’ stato erroneamente scritto che Enzo Ferrari circolasse con un esemplare vestito da una carrozzeria della 250 GTE 2+2, ma gli archivi dell’azienda confermano che tale vettura era proprio una normale 250 GTE, avente numero di telaio 2257 GT.
Il telaio, con numero di riferimento interno 538, inizialmente aveva un passo di 2420mm ma poi crebbe fino a raggiungere i 2600mm, con lo scopo di aumentare lo spazio disponibile all’interno dell’abitacolo. Gli chassis furono numerati con la sequenza di cifre dispari tipica delle vetture stradali cui fu aggiunto il suffisso “SA”, e la loro costruzione seguì le linee generali impostate per la coeva serie 250 GT: un paio di longheroni a sezione ovale di grandi dimensioni che passavano sull’assale posteriore, rinforzati da abbondanti crociere e da un robusta parte anteriore. Le sospensioni anteriori erano indipendenti, a braccia oscillanti e molle elicoidali con ammortizzatori individuali, mentre l’assale posteriore con bracci guida era di tipo rigido supportato da balestre semi ellittiche e ammortizzatori idraulici su ogni ruota. I freni a disco con comando idraulico erano presenti su tutte le ruote, mentre il freno a mano comandato da un cavo agiva sull’assale posteriore. Tranne la vettura con telaio n.2311 SA, tutti gli esemplari furono costruiti con la guida a sinistra.
I motori avevano numero di riferimento interno 163 e un rapporto di compressione pari a 8,8:1. Le unità motrici avevano abbandonato il disegno a “blocco motore lungo” di Lampredi, utilizzato nella precedente serie di vetture denominate 410, ed erano state progettate secondo il progetto di Colombo, che prevedeva un singolo albero a camme in testa per bancata di cilindri ed era già in uso sulla serie 250 GT in produzione in quel periodo. Questo propulsore fu ingrandito con lo scopo di aumentare la sua cilindrata, allargandone l’alesaggio a 77mm e allungandone la corsa a 71mm: il risultato finale diede una cilindrata di 3967cc.
Erano presenti una doppia bobina e un distributore d’accensione, comandato dalla parte posteriore degli assi a camme ai lati della V. Il motore era alimentato da una tripletta di carburatori doppio corpo Weber 40 DCZ/6, 42 DCN o talvolta Solex C40 PAAI, la potenza erogata era di circa 340 cavalli.
L’unità motrice era abbinata ad un cambio a quattro velocità tutte sincronizzate, dotato di overdrive elettrico sul rapporto superiore. Il moto era inviato al ponte rigido posteriore tramite un albero di trasmissione.
Le “coupè aerodinamica” realizzate per la 400 Superamerica si evolsero partendo da uno studio di design, mostrato da Pinin Farina nel proprio stand durante il mese di novembre 1960 al Salone dell’Automobile di Torino e realizzato sul telaio 400 SA numero 2207 SA.
La macchina fu battezzata “Superfast II” e divenne la vettura personale di Battista “Pinin” Farina. In seguito fu sottoposta ad una serie di sviluppi che ne cambiarono leggermente la forma. Si guadagnò il nome di “coupè aerodinamica” grazie alle sue linee lunghe, flessuose, basse e fluenti che si estendevano fino all’abitacolo, dove i montanti del parabrezza erano inclinati sia verso il tettuccio sia verso la parte posteriore. La linea inclinata del lunotto proseguiva verso il baule e la coda terminando a livello dei paraurti, dove le luci posteriori circolari erano alloggiate in una cornice protettiva che formava parte dei due semi paraurti avvolgenti. La vettura primigenia aveva i gruppi ottici anteriori a scomparsa e una presa d’aria ovale per il radiatore, poco profonda, affiancata ai semi paraurti avvolgenti con rostri che proseguivano verso la parte inferiore del musetto. Nell’inverno 1960-61 la vettura ricevette un’ampia presa d’aria sul cofano anteriore, circondata da una rifinitura cromata in quel periodo molto di moda. Le piccole luci di posizione anteriori furono incassate in cima ai parafanghi, scomparve la copertura aerodinamica delle ruote posteriori e sulle superfici vetrate furono adottati i deflettori.
La seconda modifica totale nel design sul medesimo telaio fu battezzata Superfast III, e calcò per la prima volta le scene al Salone di Ginevra del marzo 1962. La vettura aveva subito variazioni alle superfici vetrate, con montanti posteriori più sottili e, di conseguenza, i relativi finestrini erano diventati più ampi. Il profilo del musetto fu variato con lo scopo di inserire una nuova presa d’aria ellittica per il radiatore, ancor meno profonda, dotata di un pannello di copertura in metallo controllato da un termostato e adornato da un “Cavallino Rampante”. Altre differenze rilevanti furono un cambio di colore da bianco a verde metallizzato (nell’interim fu anche grigio metallizzato), la reintroduzione delle coperture aerodinamiche sulle ruote traenti e dei nuovi sfoghi per l’aria, che furono aggiunti nella parte inferiore del pannello laterale dietro i parafanghi posteriori. Questa vettura fu poi sottoposta ad un altra metamorfosi che la fece diventare Superfast IV: la differenza più evidente tra i due modelli si rileva nel diverso disegno dei gruppi ottici anteriori, dove i proiettori a scomparsa furono sostituiti da una coppia di fari scoperti aventi diametro diverso (circa 18 cm per quello esterno e circa 13 cm per il faro interno), soluzione che fu poi ripresa nel 1964 sulla 330 GT. Un’altra differenza più difficile da rilevare fu un leggero cambiamento nella forma del montante posteriore, unita all’innalzamento della base inferiore del lunotto.
Nel frattempo era iniziata la produzione in serie del modello, e la prima versione realizzata per la clientela “normale” fu esposta al Salone di Ginevra del 1961. La macchina aveva quasi tutte le caratteristiche estetiche della Superfast II, tranne i gruppi ottici anteriori realizzati con elementi più tradizionali, leggermente incassati nella carrozzeria e protetti da una copertura in Plexiglass. Come già detto, ci furono differenze individuali su alcune specifiche vetture, e oltre alla già menzionata scelta concernente i gruppi ottici anteriori aperti o chiusi, c’era la possibilità di far installare due tipi diversi di apertura delle portiere: uno con la tradizionale maniglia cromata munita di bottone a pressione, l’altro con la leva d’apertura a scomparsa. Inoltre, su alcune vetture furono applicate le coperture aerodinamiche sulle ruote posteriori, mentre in altre non furono presenti. Gli esemplari costruiti fino alla metà del 1962 ebbero il telaio da 2420mm di passo, dopo tale data, invece, furono utilizzati telai con un passo di 2600mm. Queste ultime vetture si possono identificare dal maggior spazio presente tra la battuta dello sportello e l’inizio del parafango posteriore. Un altro particolare che risulta piuttosto evidente è il rigonfiamento longitudinale situato nella parte centrale del cofano motore, sopra i carburatori, al posto della presa d’aria con finitura cromata presente sui modelli precedenti. La produzione totale ammonta ad una Scaglietti Spider, una Scaglietti Berlinetta, nove cabriolet e 35 coupè. I numeri di telaio vanno da 1517 SA a 5139 SA. Va notato che le due GTO da quattro litri con telaio n. 3765 – 4561 e le quattro 330 LM berlinetta, con chassis n. 4381 – 4453 – 4619 – 4725, ebbero tutte la numerazione dei telai con il suffisso “SA”, tipico di della serie 400 Superamerica.