Le due novità più importanti di questa vettura sono il motore di tipo Boxer a 12 cilindri, derivato dalla monoposto di Formula 1 di quell’anno, e la configurazione a motore centrale – che segna una svolta per il Cavallino Rampante, le cui auto al vertice della gamma in termini di prestazioni avevano sempre avuto il propulsore in posizione anteriore. Il modello in foto, presentato al Salone dell’Auto di Torino del 1971, rispetto agli esemplari effettivamente prodotti dal 1973 in poi è dotato di doppi fanali posteriori e doppio scarico, nonché di una diversa denominazione.
Degna erede della 365 California, il prezzo elevato non le ha impedito di avere un buon successo commerciale, soprattutto negli Stati Uniti dove ancora oggi è considerata una “cult-car”.
La 365 GT4BB fece il suo pubblico debutto nel 1971, presso lo stand di Pininfarina al Salone dell’Automobile di Torino, ma ci vollero almeno altri due anni prima che potesse raggiungere le linee di produzione, dove rimase fino al 1976. Non c’è dubbio che il suo lungo periodo di gestazione fu dovuto al fatto che questo modello nasceva da un concetto completamente diverso rispetto a tutte le altre Ferrari di serie a dodici cilindri prodotte in precedenza. Infatti, il motore si trovava in posizione centrale, era sempre a dodici cilindri ma questi erano contrapposti ed avevano abbandonato il tradizionale schema a “V”, inoltre l’unità motrice incorporava la trasmissione.
La Ferrari aveva già accumulato una vasta esperienza con la configurazione a motore centrale, grazie alle sue monoposto, alle vetture della categoria Sport-Prototipi, alle due concept car stradali 365R “Tre Posti” realizzate da Pininfarina nel 1966 ed alla serie delle Dino V6. Tuttavia, la 365 GTB4 “Daytona” stava vendendo bene e l’azienda pensò fosse prudente svelare la nuova vettura con largo anticipo, per verificare la reazione della clientela verso il futuro modello, radicalmente diverso, che avrebbe occupato il vertice della gamma. Inoltre, ci sarebbe stato tutto il tempo necessario per condurre un approfondita serie di prove. Quando la 365 GT4BB entrò in linea di montaggio, la Daytona continuò ad essere prodotta ancora per qualche mese. Tra il 1973 ed il 1976 furono realizzati 387 esemplari di 365 GT4BB.
Il nome del modello seguì la consueta tradizione Ferrari, con il numero 365 che stava ad indicare la cilindrata unitaria, il 4 che individuava il numero di assi a camme ed il suffisso BB che significava “Berlinetta Boxer”. Il termine “Boxer” inserito nel nome del modello si riferiva alla modalità di funzionamento delle due opposte bancate di cilindri. Tuttavia, il nome voleva ricordare i motori a dodici cilindri contrapposti utilizzati dall’azienda in Formula 1, poiché il propulsore della 365 GT4BB non operava secondo la vera sequenza di funzionamento tipica dei boxer, dove i pistoni opposti si muovono in direzioni opposte facendo ruotare l’albero motore. Come la 365 GTB4, che divenne nota con il nome non ufficiale “Daytona”, la 365 GT4BB ed il suo successivo sviluppo della serie 512 divennero note con il nome di “Boxer”. Non ci sono dubbi sul fatto che la designazione originaria fosse piuttosto difficile da pronunciare, quasi come uno scioglilingua.
Dal punto di vista estetico la sezione frontale del modello era basata sulla linea a cuneo della P6, una concept car a motore centrale ideata da Pininfarina ed esposta al Salone dell’Automobile di Torino nel 1968. La sezione bassa del musetto era occupata da un’ampia griglia in alluminio per il raffreddamento del radiatore, dietro la quale erano nascosti i fendinebbia. Dalla sommità della griglia partiva una nervatura che percorreva l’intero perimetro del veicolo, separando visivamente in due metà il corpo vettura. L’effetto era reso ancor più evidente dalla finitura della parte inferiore, che nelle vetture di serie era di colore nero satinato. Questa finitura della parte inferiore del corpo vettura in nero satinato divenne un optional disponibile per gli altri modelli, e fu battezzata “verniciatura tipo Boxer”.
Sopra il musetto era situato un pannello frontale che incorporava il cofano anteriore ed i parafanghi. Il pannello era dotato di indicatori di direzione montati a filo e situati alle estremità della parte anteriore. Dietro di essi erano posti i gruppi ottici anteriori di tipo retrattile con il loro adeguato alloggiamento, ai lati di uno sfogo realizzato in alluminio per l’aria del radiatore. L’abitacolo era a cinque luci ed il suo profilo laterale nella zona dei finestrini era a goccia. Il lunotto era piuttosto sottile e verticale, circondato dai montanti che delimitavano il cofano motore incernierato posteriormente. La coda era corta e verticale. Un’appendice aerodinamica, di colore nero satinato, era montata a ridosso della parte posteriore del tettuccio ed univa i due montanti. Il cofano motore era caratterizzato da file di sfoghi per l’aria colorati di nero, erano inoltre presenti due sezioni rialzate di forma rettangolare, poste sopra le scatole filtro-aria dei carburatori.
La disposizione delle luci di coda seguiva quella già adottata per la 365 GTC4, con triple unità circolari inserite in un pannello-griglia arretrato. La linea dei gruppi ottici posteriori si abbinava alla disposizione della coppia di tre tubi di scarico cromati, che si riflettevano su entrambe i lati del pannello inferiore di coda della carrozzeria. Le portiere ed i cofani anteriore e posteriore erano realizzati in alluminio mentre la struttura dell’abitacolo era di acciaio. La parte inferiore del musetto e le sezioni di coda erano realizzate in fiberglass. A causa del parabrezza molto inclinato, la sua sommità fu dotata di una striscia colorata trasparente, che incorporava anche l’antenna per la radio. Questa fu la prima Ferrari stradale ad essere dotata di ruotino di scorta salva-spazio, situato in un alloggiamento del cofano anteriore: nonostante ciò, il volume riservato ai bagagli rimaneva alquanto ridotto.
I corpi vettura erano montati su un telaio avente un passo di 2500mm: il suo numero di riferimento interno era F 102 AB 100. Tutte le vetture adottarono la sequenza di numerazione in cifra dispari, tipica delle automobili stradali. La costruzione seguiva i principi classici della Ferrari: uno scheletro di tubolari in acciaio con bracci di rinforzo incrociati, uniti a dei subtelai che supportavano il motore, le sospensioni e gli equipaggiamenti aggiuntivi. Su questo modello fu introdotta una novità: i pannelli in acciaio dell’abitacolo entravano a far parte integrale della struttura e formavano una cellula centrale molto rigida, quasi una monoscocca. La vettura era disponibile con la guida a sinistra o a destra ma non fu mai prodotta una versione destinata al mercato degli Stati Uniti. Le ruote in lega di serie avevano una finitura argentata e un disegno a stella a cinque punte, con gallettone centrale che si avvitava su un mozzo Rudge, e coprivano dei grandi freni a disco ventilati dotati di servo assistenza e doppio circuito idraulico. Le sospensioni erano a quattro ruote indipendenti con bracci oscillanti, molle elicoidali, ammortizzatori idraulici con doppia unità su ogni ruota posteriore, barre antirollio anteriori e sul retrotreno.
Il propulsore era il primo 12 cilindri contrapposti ad essere installato su una Ferrari stradale, e manteneva la stessa cilindrata di 4390cc con alesaggio e corsa di 81mmX71mm del modello 365GTB4; il numero di riferimento interno era F 102 AB 000. Era dotato di doppi alberi a camme in testa per bancata di cilindri: contrariamente ai precedenti motori Ferrari a 12 cilindri, dove gli alberi a camme erano comandati da catena, su questo propulsore erano comandati da una cinghia dentata. Questa soluzione ebbe l’effetto di semplificare la fusione dell’unità motrice e di ridurne il rumore meccanico, dettaglio abbastanza importante poiché su questa vettura il motore era posto nelle immediate vicinanze delle orecchie appartenenti agli occupanti. Il propulsore era montato longitudinalmente, in unione con la trasmissione a cinque velocità ubicata sotto l’albero motore: la soluzione alzava il centro di gravità dell’insieme, ma ne diminuiva la lunghezza totale. Anche se parte dell’unità motrice e del cambio avevano delle fusioni in comune, all’interno le due unità avevano i circuiti della lubrificazione completamente separati, e per il motore era stato scelto il sistema a carter umido. L’alimentazione era assicurata da una coppia batterie composte da due carburatori triplo corpo Weber 40 IF 3C. Il distributore d’accensione era singolo, comandato dalla parte posteriore sinistra dell’albero a camme dedicato alle valvole d’aspirazione, il sistema d’accensione era di tipo elettronico, e la potenza dichiarata raggiungeva i 380 cavalli.