Il telaio numero 08347 fu il prototipo della serie e fu costruito su uno chassis tipo 571, solitamente utilizzato per la 330 GT 2+2. La produzione di serie, invece, iniziò con il numero di telaio 09127 ed utilizzò lo chassis con numero di riferimento interno 598. Come per la 500 Superfast, i telai erano inviati a Pininfarina che li carrozzava e li rifiniva nella sua azienda di Grugliasco, in seguito le vetture tornavano alla Ferrari dove si provvedeva all’installazione della parte meccanica. Tranne che per alcuni dettagli di secondaria importanza, come i gruppi ottici anteriori ricoperti in Plexiglas, i faretti antinebbia a scomparsa sul musetto, la mancanza di sfoghi per l’aria sui pannelli laterali, la presenza di un rigonfiamento centrale sul cofano motore e la nervatura ai lati della carrozzeria, dal parabrezza in poi la 365 California era visivamente molto somigliante al modello 500 Superfast.
Le differenze iniziavano ad essere evidenti a partire dai montanti, e proseguivano verso la coda della vettura. Nella parte superiore delle portiere era presente un incavo a forma di freccia che si estendeva nella parte iniziale del parafango posteriore, l’incavo era diviso in due parti da un listello di metallo cromato, incorporante la maniglia per l’apertura. Questo tipo di dettaglio era già stato utilizzato da Pininfarina sul prototipo della Dino, presentato al Salone di Parigi 1965, e si sarebbe poi visto per oltre vent’anni sui modelli delle serie 206/246 e 308/328. Il parafango posteriore s’incurvava leggermente verso l’alto nei pressi del passaruota, per poi scendere accompagnando la linea piatta del cofano bagagli e terminando in una peculiare coda tronca dai tratti piuttosto tesi, abbastanza strana considerando le linee sinuose adottate per il frontale della vettura.
Come sulla 500 Superfast, la 365 California era provvista di gruppi ottici posteriori realizzati in esclusiva: il loro disegno era piuttosto angolato poiché doveva seguire la linea della coda, ed erano provvisti di tre luci rotonde circondate da materiale riflettente. Tuttavia, vi furono differenze da vettura a vettura nel tipo di colore adottato per il materiale riflettente, e addirittura in certi esemplari le tre luci circolari si presentano diverse. Sempre come già visto sulla 500 Superfast furono previsti quattro semi paraurti avvolgenti, uno per ogni angolo della carrozzeria, anche se un esemplare su telaio n. 08631 fu dotato di un paraurti posteriore unico: in questo caso, quando nel 1970 la macchina fu inviata in Ferrari per un rinnovamento, fu necessario modificare le luci posteriori. Su queste automobili fu confermata l’adozione delle ruote a raggi Borrani, anche se ormai la grande maggioranza delle Ferrari prodotte in serie utilizzava le ruote in lega leggera come equipaggiamento standard.
I corpi vettura furono montati su un telaio avente un passo di 2650mm con numero di riferimento interno 598, e ricevettero la numerazione dispari tipica delle automobili stradali, senza nessun tipo di suffisso. Furono costruiti su una linea di montaggio molto simile a quella della coeva 330 GT 2+2, e come su quest’ultima vettura troviamo le sospensioni anteriori a ruote indipendenti, il ponte rigido posteriore con molle a balestra e ammortizzatori idraulici, quattro freni a disco con circuito di comando separato per l’assale anteriore e per quello posteriore. Il modello fu dotato anche di servosterzo, un optional disponibile solo sulle ultime serie della 330 GT 2+2.
Il motore era un V12 da 4,4 litri a singolo albero a camme in testa per bancata di cilindri, con numero di riferimento interno 217B, cilindrata totale di 4.390cc, alesaggio e corsa 81 x 71. Le candele d’accensione erano alloggiate nella parte esterna della “V” formata dai cilindri, l’alimentazione era assicurata da una batteria di tre carburatori Weber doppio corpo 40 DFI/4, era presente una doppia bobina e i distributori d’accensione erano sistemati nella parte posteriore dell’unità motrice. La potenza dichiarata era di 320 cavalli. Il propulsore era abbinato ad un cambio con cinque velocità tutte sincronizzate più retromarcia, il moto era trasferito al ponte rigido posteriore tramite un albero di trasmissione. Questo dodici cilindri era basato sul progetto di Gioachino Colombo a “blocco motore corto”; in seguito fu aggiornato e trovò impiego sui modelli 365 GTC/S e 365 GT 2+2.