L’esemplare esposto in quell’occasione era privo dello spoiler in coda, che fu però aggiunto prima del debutto nelle competizioni, avvenuto in marzo sul circuito statunitense di Sebring. In quella 12 Ore che inaugurò la carriera sportiva della macchina, la GTO fu condotta dalla coppia Phil Hill – Oliver Gendebien e terminò la corsa al secondo posto, dietro alla Vettura Sport 250 Testa Rossa, vincendo facilmente la categoria GT: una prestazione notevole per un modello al debutto, che fece da fondamenta per tutto ciò che fu conquistato nei tre anni successivi.
La macchina fu realizzata sul telaio da 2400mm di passo, come la precedente 250 GT Berlinetta passo corto da cui derivava, ma anche se lo chassis era costruito seguendo le stesse linee guida, i tubi utilizzati erano di sezione inferiore ed erano presenti crociere addizionali per aumentare la rigidità torsionale. Il numero di riferimento interno era inizialmente 539/62 Comp, in seguito 539/64 Comp. Analogamente alle 250 GT Berlinetta passo corto, furono installati quattro freni a disco; il freno a mano comandato da un cavo agiva sulle ruote posteriori e la vettura era disponibile con la guida a sinistra o a destra.
I primi sviluppi del nuovo modello furono mantenuti segreti, e Giotto Bizzarrini fu incaricato di realizzare una vettura in grado di battere la Jaguar “E” Type. In varie interviste nel corso degli anni, Giotto dichiarò di aver ricevuto come base su cui lavorare per il nuovo progetto un telaio 250 GT Boano. Tuttavia, le registrazioni ufficiali dell’azienda affermano che gli fu affidato un telaio 250 GT “passo corto”, chassis n. 1791 GT, su cui realizzare la nuova vettura.
Alla sua prima uscita sul circuito di Monza nel settembre 1961, prima del Gran Premio d’Italia, la macchina si guadagnò il soprannome di “Mostro”, a causa del suo corpo vettura realizzato in modo piuttosto raffazzonato. Durante le sessioni di prova, la macchina fu guidata da Stirling Moss e fece segnare dei tempi formidabili: prestazioni che la 250 GT “passo corto” non era mai riuscita ad avvicinare. Più tardi quell’anno avvenne in Ferrari la famosa “rivoluzione di palazzo” e Bizzarrini si ritrovò fuori dall’azienda: la costruzione definitiva del corpo vettura fu affidata a Sergio Scaglietti, che ci regalò la forma definitiva della GTO.
Tutti gli esemplari prodotti, a parte le vetture costruite nel 1964, erano dotati di tre piccoli pannelli apribili che avevano la forma di una “D” ed erano situati nella parte anteriore del cofano motore: servivano ad incrementare la portata d’aria verso il radiatore. Lo schema si ripeteva sotto il musetto, dove si trovavano tre prese d’aria simili con la stessa funzione. Anche le vetture costruite e ricarrozzate nel 1964 presentavano tra loro differenze in molti dettagli, ma in questi casi le diversità riguardavano la forma del tettuccio e del cofano motore. Il primo poteva essere più lungo, più corto con lo spoiler integrato o più corto senza spoiler, mentre il secondo poteva avere la classica presa d’aria o un’appariscente protuberanza nella zona centrale che si allungava verso il musetto. Un certo numero di vetture fu oggetto di modifiche nel corso della carriera agonistica: in particolare, fu aggiunto un terzo sfogo per l’aria sul parafango anteriore e, occasionalmente, altre feritoie furono aperte sul cofano motore per facilitare la dissipazione delle alte temperature. Oltre ai dettagli principali già menzionati, tra le varie automobili erano presenti numerose differenze individuali: ad esempio, certe vetture avevano i gruppi ottici posteriori montati su dei supporti, mentre in altri esemplari erano fissati direttamente sul pannello di coda.
Le berlinette 250 GTO continuarono la serie di successi nelle competizioni iniziata dai precedenti modelli “passo lungo” e “passo corto”, e quando il campionato costruttori fu trasferito alla categoria GT a partire dal 1962, la GTO diede alla Ferrari una tripletta di allori mondiali, vinti fra il 1962 ed il 1964. Fu una vettura che dominò la sua classe con grande autorevolezza, e solo nell’ultimo anno di attività agonistica ebbe qualche difficoltà contro le AC Cobra, peraltro dotate di un motore V8 con una cilindrata largamente superiore.. Tra i numerosi successi internazionali della 250 GTO ci furono le vittorie nel Tour de France 1963 e 1964, la conquista del primato nella categoria “GT” della Targa Florio 1962 – 1963 – 1964, le affermazioni al Tourist Trophy di Goodwood 1962 e 1963, la vittoria nella categoria “GT” a Le Mans nel 1962 – 1963 e alla 1000 chilometri del Nuerburgring nel 1963 – 1964.
La 250 GTO fu l’espressione più elevata delle vetture Ferrari 250 GT: si sentiva ugualmente a suo agio in pista o su strada ed è stata forse l’ultima macchina prodotta in piccola serie a vantare questa peculiarità. Tra gli appassionati del marchio Ferrari, la GTO ha raggiunto uno status leggendario. Con una relativamente piccola serie di trentasei vetture, molte delle quali con notevole palmarès sportivo, è diventata una delle icone nella storia produttiva della Ferrari, e la sua fama l’ha messa in una posizione di primissimo piano tra la cerchia dei collezionisti.
La 250 GTO fu il punto più alto dello sviluppo raggiunto dalla 250 GT nei modelli da competizione, pur rimanendo una vettura utilizzabile anche su strade normali. Fece il suo debutto in pubblico alla consueta conferenza stampa che precedeva l’inizio della stagione, nel gennaio 1962, ed era l’unico modello presente con il motore davanti: tutte le sue cugine, monoposto e vetture Sport, presentavano il propulsore in posizione centrale.
La photogallery vuole raccontare le peculiarità di questo modello Ferrari del 1962, soffermandosi sui dettagli e le inquadrature più rilevanti.
del V 12 da tre litri con singolo albero a camme in testa per bancata di cilindri, progettato da Gioachino Colombo, con alesaggio e corsa di 73mm x 58,8mm ma lubrificazione a carter secco e numero di riferimento interno 168 Comp/62.
Le candele d’accensione erano situate all’esterno della “V” del blocco motore, l’alimentazione era assicurata da una batteria di sei carburatori doppio corpo Weber 38 DCN, era presente una doppia bobina e i distributori d’accensione si trovavano nella zona posteriore dell’unità motrice. La potenza dichiarata era di circa 300 CV.
Il motore era abbinato ad un nuovo cambio di velocità a cinque rapporti sincronizzati con una torretta di selezione a settori, sita nell’abitacolo, molto simile a quelle utilizzate nei modelli Sport da competizione dalla metà degli anni cinquanta. Il moto era trasferito mediante l’albero di trasmissione al ponte rigido posteriore, dotato di parallelogramma di Watt. Come si confaceva ad una vettura destinata alle competizioni, l’assale posteriore era disponibile con un’ampia gamma di rapporti.
La forma dei corpi vettura in alluminio progettati e costruiti da Scaglietti cambiò pochissimo durante il periodo di produzione, che andò dal 1962 al 1964, ad eccezione di un esemplare unico carrozzato con le linee della 330 LM Berlinetta e delle ultime tre vetture della serie:
queste macchine furono vestite con una carrozzeria disegnata da Pininfarina e costruita sempre da Scaglietti. Esteticamente, questi modelli erano molto simili alla Vettura Sport da competizione 250 LM a motore centrale. Quattro esemplari prodotti ad inizio serie furono ricarrozzati con le nuove sembianze nel corso del 1964. Anche se la forma complessiva della carrozzeria non cambiò molto, le differenze nei dettagli sulle vetture prodotte sono evidenti.
Nelle prime macchine della serie, erano presenti delle piccole prese d’aria ellittiche per il radiatore, affiancate a fari antinebbia rettangolari. Sempre all’inizio, le prese d’aria deputate al raffreddamento dei freni erano situate sotto il musetto; in seguito divennero verticali e si spostarono nei pressi dei gruppi ottici anteriori ricoperti in Plexiglass, sotto i quali si trovavano le luci di posizione. Lo spoiler di coda era imbullonato al pannello posteriore, e c’erano degli sfoghi per l’aria dell’abitacolo sui pannelli laterali posteriori che sorreggevano il tettuccio. In breve tempo le prese d’aria per il raffreddamento dei freni diventarono circolari, e le luci di posizione si spostarono in una posizione semi incassata ai lati della parte anteriore dei parafanghi. Poco tempo dopo la realizzazione di tutte queste piccole modifiche, lo spoiler di coda fu rivettato e divenne parte integrata del corpo vettura.