Presentata al Salone di Parigi del 1954, rappresenta il primo tentativo di creare uno standard per le vetture destinate alla normale clientela. Sviluppata partendo dalla 250 Europa, vide la reintroduzione il motore derivato dal tipo 125 alimentato dai consueti tre Weber 36 DCZ.
Dopo i primi esemplari costruiti, Pinin Farina non riusciva a far fronte alla vivace domanda e, nell’attesa della costruzione della nuova fabbrica a Grugliasco, passò la produzione a Boano. In poco più di un anno, ne furono realizzate un’ottantina. La 250 Europa GT subentrò al modello 250 Europa e fu presentata al pubblico nel corso del Salone di Parigi edizione 1954: inizialmente mantenne la denominazione 250 Europa, ma in seguito fu aggiunto il suffisso GT per poter distinguere meglio le due vetture. In realtà, la nuova macchina divenne nota semplicemente come 250 GT.
In linea di massima la forma della carrozzeria coupè a tre luci fu molto simile, per la quasi totalità di vetture prodotte, a quella tipica della 250 Europa originaria, disegnata da Pinin Farina. Infatti, sempre che non si possieda un occhio particolarmente allenato nel rilevare le dimensioni, per distinguere i due modelli sarebbe necessario un metro flessibile, poiché la differenza principale tra le due macchine risiede nella diversa distanza tra il parafango anteriore ed i montanti del parabrezza.
In quegli anni non si era ancora raggiunta una totale uniformità nelle linee estetiche delle varie serie di modelli: ad esempio, un esemplare destinato alla Principessa del Belgio Liliane De Rethy ebbe una carrozzeria speciale di Vignale, e sette macchine furono realizzate da Pinin farina con vari corpi vettura in alluminio, sempre di tipo “Berlinetta”. Questi ultimi sono spesso considerati come prototipi delle future berlinette “Tour de France”, prodotte tra il 1956 ed il 1959. Inoltre, persino certi esemplari di coupè “standard” potevano presentare differenze di dettaglio, vere e proprie modifiche deliberate per soddisfare le richieste particolari di alcuni clienti; a ciò si aggiunge poi il fatto che alcune carrozzerie furono costruite in alluminio mentre per altre fu utilizzata la lamiera d’acciaio. Come per la serie 250 Europa, alcune vetture furono dotate di panca posteriore che, in pratica, consisteva in una piattaforma imbottita, originariamente pensata per i bagagli.
Le differenze più marcate ed importanti tra la 250 Europa e la 250 Europa GT erano però situate sotto il cofano motore. Sostituendo il propulsore V12 “lungo”, progettato da Lampredi per il modello precedente, con il V12 “corto” realizzato da Colombo e già usato nella 250 MM ecc., fu possibile ridurre il passo di 200 mm raggiungendo il valore di 2600 mm, senza compromettere lo spazio disponibile nell’abitacolo. Contemporaneamente, le carreggiate anteriore e posteriore furono incrementate di 29 mm.
I telai, aventi denominazione interna 508, furono identificati con la numerazione dispari tipica delle vetture stradali, seguita dal suffisso GT. La costruzione dello chassis prevedeva due tubolari principali disposti longitudinalmente, con rinforzi trasversali a croce e supporti esterni su cui era adagiata la carrozzeria. I tubolari principali del telaio passavano al di sopra l’assale posteriore, e non al di sotto come sulle serie 250 Europa/375 America.
Le sospensioni anteriori erano indipendenti, inizialmente con doppio braccio oscillante, ammortizzatori idraulici a leva e balestre trasversali, in seguito rimpiazzate durante il periodo di produzione da molle individuali a spirale. Il ponte rigido posteriore era supportato da balestre semi ellittiche ed era anch’esso dotato di ammortizzatori idraulici a leva. Sulle quattro ruote erano presenti i freni a tamburo operanti idraulicamente, il freno a mano, invece, agiva sulle ruote posteriori ed era comandato da un cavo. Tranne una vettura, tutti gli esemplari costruiti avevano la guida a sinistra.
Come già rilevato il motore, pur sempre un’unità V12 da tre litri, era completamente diverso da quello della 250 Europa, ed era uno sviluppo del V12 “corto” progettato da Gioachino Colombo. La cilindrata di questo propulsore era di 2.953 cc, l’alesaggio e la corsa erano rispettivamente di 73mm x 58,8mm; montava una batteria di tre carburatori doppio corpo Weber 36 o 42 DCZ, aveva doppia bobina e distributore frontale montato orizzontalmente. La potenza dichiarata era di 220 cavalli. Il propulsore era abbinato ad un cambio di velocità a quattro marce tutte sincronizzate, tramite l’albero di trasmissione il movimento era portato all’asse posteriore, per il quale era disponibile una gamma di diversi rapporti.
Forse in questo frangente non è inopportuno dare una breve spiegazione dei termini “V12 corto” e “V12 lungo”. Il V12 lungo progettato da Aurelio Lampredi aveva le camicie dei cilindri avvitate nella testata: ciò richiedeva una maggior spazio tra un pistone e l’altro rispetto al “V12 corto” ideato da Colombo. Quest’ultima unità motrice, infatti, aveva una camicia dei cilindri più convenzionalmente inserita, con guarnizione della testa standard, e ciò rendeva l’insieme più compatto.
Questo modello fu un importante punto di riferimento nella storia delle vetture stradali costruite dalla Ferrari, poiché ebbe la più rilevante quantità di esemplari quasi omogenei prodotti fino a quel momento, e segnò il punto in cui Pinin farina divenne, con una sola eccezione, l’unico designer delle Ferrari destinate alla fabbricazione in serie.
Inoltre, la sua combinazione motore/telaio sarebbe poi stata, con opportune modifiche ed aggiornamenti, la spina dorsale della produzione stradale Ferrari per una decina d’anni, sotto forma di vari modelli 250 GT.