Presentata al salone di Parigi nell’ottobre 1959, sintetizza molto bene l’idea dell’automobile stradale che vince le corse. Con poche modifiche (candele più fredde, gomme racing, roll-bar) si poteva prendere il via su un qualsiasi circuito e lottare per le posizioni di testa della propria categoria.
Disegnata da Pininfarina e costruita con la collaborazione di Scaglietti, in principio fu realizzata in alluminio; in seguito quest’elemento fu riservato alle versioni da gara. Conseguì numerose vittorie e rimane ancora oggi una delle Ferrari più amate.
La versione 1960 della 250 GT Berlinetta fu disegnata da Pininfarina e costruita nelle officine Scaglietti di Modena. Fu presentata per la prima volta al pubblico nel corso dell’edizione 1959 del Salone di Parigi, ed aveva una carrozzeria dall’estetica molto simile a quella delle ultime berlinette prodotte in quell’anno, chiamate oggi “interim” per differenziarle da quelle realizzate in precedenza. L’unica diversità stava nell’eliminazione della piccola luce sita nel montante posteriore, dietro il finestrino degli sportelli d’accesso. Il nuovo modello fu costruito su un telaio con un passo di 2400mm ed il suo numero di riferimento interno fu, inizialmente, 539; in seguito divenne 539/61.
Le denominazioni “passo lungo” per i modelli con il telaio da 2600mm, e “passo corto” per quelli con il telaio da 2400mm sono diventate terminologia comune per distinguere le due serie di vetture.
La costruzione dello chassis seguì l’ormai consueta tradizione che prevedeva due grandi longheroni a sezione ovoidale, con consistenti barre di rinforzo a crociera ed un elemento anteriore a sezione rettangolare.
Le sospensioni anteriori erano indipendenti con molle elicoidali e braccio oscillante, mentre il ponte rigido posteriore prevedeva molle a balestra semi ellittiche e braccia radiali che vincolavano l’assale. Tutti e quattro gli ammortizzatori erano di tipo idraulico. Il telaio competizione del 1961 aveva una costruzione più leggera: alcuni tubi dello chassis erano più piccoli e con una sezione inferiore.
Questo modello fu la prima Ferrari di serie a montare i freni a disco come equipaggiamento standard e, al contrario della versione 250 GT Berlinetta precedente, era disponibile con la guida a destra o a sinistra. A richiesta si poteva ordinare anche con le specifiche da competizione, che comprendevano la carrozzeria in alluminio, gli interni in versione alleggerita ed il motore potenziato. La versione “Lusso”, invece, aveva di solito la carrozzeria in lamiera d’acciaio con le porte ed i cofani in alluminio.
Come spesso capitava in quel periodo, in base ai desideri dei clienti ci furono un buon numero di esemplari con caratteristiche di entrambe le tipologie: non è pertanto difficile trovare esemplari stradali costruiti interamente in alluminio, con interni alleggeriti e motore potenziato. Nel 1961 le vetture “competizione” ricevettero una corpo macchina ancora più leggero e/o un motore ancor più potente, inoltre furono studiate altre modifiche minori. Lo scopo di questi cambiamenti nacque dall’esigenza di rimanere competitivi nei confronti della nuova sfida comparsa all’orizzonte, rappresentata dalla Jaguar “E” Type.
L’unità motrice era un nuovo sviluppo del progetto di Gioachino Colombo: un V12 con singolo albero a camme in testa per bancata di cilindri, cilindrata 2953cc, alesaggio e corsa 73mm x 58,8. I numeri di riferimento interni erano 168B, 168 e 168 Comp/61, tutti motori con lubrificazione a carter umido. Le candele d’accensione erano site all’esterno della “V” formata dalle bancate, era presente una batteria di tre carburatori doppio corpo Weber 38 DCN o 40 DCL/6 ma erano omologati anche i Solex C40 PAAI. Con doppia bobina e doppi distributori d’accensione montati posteriormente, il motore erogava da 220 a 280 CV secondo la configurazione.
In seguito furono omologati anche i carburatori Weber 46 DCF/3 che furono utilizzati sui motori speciali da competizione del 1961: assieme alle valvole più grandi, a specifici collettori di scarico ed altre modifiche di minore entità il propulsore poteva raggiungere il livello di potenza più alto sopra menzionato.
L’unità motrice era accoppiata ad un cambio con quattro velocità sincronizzate più retromarcia, che trasmetteva il moto mediante un giunto al ponte rigido posteriore, disponibile con varie serie di rapporti. Il gruppo cambio delle vetture da competizione presentava una fusione con alettatura esterna, mentre sulle normali automobili stradali la fusione era esternamente liscia.
Il progetto di base cambiò pochissimo durante i tre anni di produzione, dal 1960 al 1962. Tuttavia, ci furono un certo numero di differenze nei dettagli che permettono di identificare il periodo di produzione relativo ad una specifica vettura. Nei primi mesi di costruzione i lati dei parafanghi anteriori e posteriori erano lisci, come pure il cofano bagagli; era presente uno sfogo per l’aria nella parte superiore centrale del lunotto ed i vetri scorrevoli avevano una curvatura pronunciata sulla loro sommità per seguire il disegno della carrozzeria. Sul musetto c’erano due prese d’aria rettangolari munite di condotti, che servivano al raffreddamento dei freni anteriori.
Le vetture prodotte dalla metà del 1960 avevano sfoghi per l’aria angolati verticalmente sui parafanghi anteriori e su quelli posteriori, dotati di fregi sui tre lati, mentre gli indicatori di direzione laterali erano di tipo a goccia. Il cofano bagagli presentava un incavo destinato ad ospitare la targa, e le prese d’aria anteriori erano in rilievo. Gli esemplari del tardo 1960 erano molto simili, eccettuati lo sfogo per l’aria sul lunotto che fu spostato sui montanti posteriori ed i finestrini, che ora erano disponibili in forma scorrevole o discendente. Qualora si fosse scelta l’ultima opzione, era prassi comune montare anche i deflettori. Tutti gli esemplari prodotti fino a questo punto ebbero il bocchettone esterno per il rifornimento, sito in un’apposita area nei pressi dell’angolo superiore sinistro del cofano bagagli.
Le differenze visive più evidenti tra le vetture del 1960 e quelle dal 1961 in poi risiedono nella forma dei finestrini, che avevano una parte superiore meno incurvata, e nel riposizionamento del bocchettone per il serbatoio carburante, sito sul parafango posteriore o nascosto all’interno del vano bagagli.
C’era poi una miriade di altre piccole differenze di dettaglio, come ad esempio una griglia radiatore leggermente più grande, una blanda riprofilatura del parafango posteriore, i punti di aggancio per il martinetto di sollevamento e così via. Anche le richieste dei clienti potevano far nascere differenze, ma quelle che vi abbiamo citato sono comunque le principali aree che permettono la distinzione tra le diverse serie.
Oltre alle normali carrozzerie Berlinetta ci furono alcuni esemplari unici, principalmente di Pininfarina, che avevano uno stile simile a quello della 400 Superamerica, inclusa una cabriolet con tetto rigido rimovibile realizzata sul telaio n.1737GT.
Gli esemplari di coupè con corpo vettura simile alla 400SA compresero due versioni stradali sui telai n. 2613GT e 3615GT, più due vetture alleggerite da competizione sui telai n. 2429GT e 2643GT. Il primo modello alleggerito non fu mai utilizzato in gara e fu venduto ad un cliente francese, mentre il secondo scese in pista gareggiando a Le Mans, Daytona e Sebring, condotto da gente del calibro di Stirling Moss e Giancarlo Baghetti. Bertone realizzò due progetti: il primo nel 1960 sul telaio n. 1739GT, ed era piuttosto particolare poiché dotato di ruote fuse in lega leggera; il secondo nel 1961, su telaio n. 3269GT e caratterizzato dal muso a squalo ideato da Carlo Chiti.
Ci fu anche un esemplare unico di “Spider Speciale” prodotto dalla Carrozzeria Zagato. Per un notevole numero di anni, le due proposte di Bertone sarebbero stati gli ultimi progetti ideati per una Ferrari da una carrozzeria diversa da Pininfarina. Nel corso degli anni sessanta e settanta vari esemplari ricevettero nuove carrozzerie personalizzate, ma furono revisioni di modelli già esistenti: non furono quindi realizzati su telai nudi forniti dalla Casa.
Nelle competizioni le berlinette “passo corto” continuarono la messe di successi ottenuta dai precedenti modelli a “passo lungo”, vincendo per tre volte consecutive il Tour de France dal 1960 al 1962, il Tourist Trophy a Goodwood nel 1960 e nel 1961, la categoria GT a Le Mans nel 1960 e 1961 e nella 1000 Km del Nuerburgring del 1961 e 1962. Queste sono solo una piccola parte delle numerose vittorie, assolute e di classe, conquistate durante il periodo in cui questa vettura fu la regina della categoria GT.