Quando il fondatore, di cui ricorre il 18 febbraio il 126° compleanno, faceva il pilota
Si dice che certe passioni si instillino nel DNA degli individui da molto piccoli, addirittura nei primi dieci anni di vita. A volte, poi, possono rimanere recondite per anni, ma tendono riemergere nel corso dell’esistenza e a condizionarla. È stato così per tanti piloti, non ultimo l’attuale alfiere della Scuderia Ferrari, Charles Leclerc, che esordì su un kart a tre anni, legato con una corda a quello di papà Hervé.
Per Enzo Ferrari non fu molto diverso. A far scoccare la scintilla per lo sport dei motori fu la Coppa Florio del 1908, una gara che si svolse a Bologna e alla quale il padre Alfredo portò i figli ad assistere. La vita di Enzo non sarebbe più stata la stessa: il suo rendimento scolastico non era affatto eccellente, di ottimo livello erano invece le doti di inventiva, al pari di quelle pratiche nell’officina del padre.
Lavorare nella meccanica non fece altro che far crescere in lui la passione per quegli oggetti così imponenti, le auto ma anche camion e altri mezzi, che amplificavano i poteri dell’uomo rendendolo capace di imprese sempre più ambiziose.
La Prima Guerra Mondiale non fece altro che affinare e snellire i processi di costruzione di mezzi a motore e così dal primo conflitto l’automobilismo sportivo ricevette la spinta decisiva per diventare un fenomeno ancora più diffuso. Anche grazie a questo il sogno di Enzo, figlio di quella passione nata una decina di anni prima, divenne accessibile e nel 1919, a soli 21 anni, era in pista nella sua prima corsa, al volante della CMN costruita da Ugo Sivocci a Milano, azienda presso la quale Ferrari era stato assunto anche come collaudatore.
L’anno seguente corse alcune gare con una Isotta Fraschini, ma fu con l’Alfa Romeo che Enzo ottenne i suoi migliori risultati, con vittorie di categoria alla Targa Florio, a Gallarate, al Mugello e ad Aosta. Nel 1923 colse anche la sua prima affermazione assoluta, un successo destinato a cambiare per sempre il corso delle cose.
Fu proprio in occasione della vittoria al Circuito del Savio del 1923 che incontrò il conte Baracca, padre dell’eroico aviatore della Prima Guerra Mondiale, Francesco, che successivamente gli avrebbe presentato la moglie Paolina. Fu lei, secondo il racconto dello stesso Enzo, a dirgli di usare sulle proprie vetture il cavallino rampante, il simbolo che suo figlio portava sull’aereo. “Le porterà fortuna”, gli disse. E fu proprio così.
Solo un sentimento forte può mettere le briglie a una grande passione. Quel sentimento aveva un nome preciso: Dino, il primogenito di Enzo, per il quale Ferrari smise di correre dopo essere giunto secondo, il 9 agosto 1931, al Circuito delle Tre Province che si svolgeva nei territori di Bologna, Pistoia e Modena.
Dal 1932 Ferrari trasferì la sua passione nel pilotare nella sua creatura sportiva. La Scuderia Ferrari, fondata nel 1929, da quell’anno iniziò a sfoggiare il Cavallino Rampante sulle Alfa Romeo che schierava. Per Enzo Ferrari le corse rimanevano dunque il primo pensiero, cambiava solo la prospettiva dalla quale le viveva.
Finché è rimasto in vita ogni pilota delle sue vetture, sia in Formula 1 sia nelle gare di durata, venne scelto personalmente da lui, con intuizioni spesso geniali – Niki Lauda e Gilles Villeneuve per dirne due – che solo uno che il pilota lo aveva fatto per davvero poteva riuscire a mettere a fuoco.