Il padre di Maglioli voleva che il figlio diventasse medico e, sebbene avesse deciso di intraprendere la carriera nell’imprevedibile mondo dell’automobilismo, il giovane Maglioli sembrava fatto di un’altra pasta rispetto ai suoi spregiudicati rivali. “Maglioli è diverso da tutti gli altri”, dichiarò un suo amico italiano a Sports Illustrated nel 1954. “Non ha un’indole selvaggia. Non mangia molto e beve meno di quanto mangia. Non è un dongiovanni. Segue la ragione, cosa alquanto strana per un giovane italiano e praticamente impossibile per un pilota italiano”.
Nato nel 1928 a Biella, nel Piemonte settentrionale, Maglioli fu introdotto nel mondo del motorsport dall’amico e collega pilota Giovanni Bracco. Ebbe l’onore di correre per la Scuderia Ferrari in tre campionati mondiali di F1 – dal 1953 al 1955 – ma le sue apparizioni furono sporadiche e il bottino in termini di punti esiguo.
Parliamo di una gara incredibilmente pericolosa, che fu disputata per la prima volta nel 1950 per celebrare il completamento del tratto messicano da nord a sud della Pan-American Highway, lungo 3.500 km.
Inizialmente, attirò un gruppo eterogeneo di concorrenti dilettanti, ma ben presto le grandi berline americane furono sfidate dalle più agili auto sportive europee, e l’elenco dei piloti divenne un vero e proprio “who’s who” delle corse automobilistiche. Ferrari si aggiudicò la vittoria nel 1951, mentre Mercedes-Benz trionfò nel ’52 (nonostante un avvoltoio fosse finito contro il parabrezza della vettura in testa alla gara) e di nuovo nel 1953.
La Panamericana rappresentava ormai un evento di grande rilevanza nell’ambito del motorsport, con classi separate per bilanciare la concorrenza, ma in quello stesso anno si registrò anche un numero di incidenti mortali mai visto prima. Partendo da Tuxtla Gutiérrez, il percorso si snodava lungo le montagne centrali del Messico, si inerpicava oltre i 3.000 metri per poi scendere nuovamente; era disseminato di oltre 3.000 curve: sbagliarne l’ingresso o l’uscita significava andare incontro a un tragico destino.
Nel 1954, per i rivali di Maglioli la sfida consisteva nel superarlo nei tratti tortuosi di montagna, perché la Ferrari era troppo potente per essere agguantata sui rettilinei più lunghi, dove era in grado di raggiungere una velocità di 280 km/h. Quell’anno, infatti, il principale avversario del pilota italiano era un altro pilota Ferrari: un giovane americano di nome Phil Hill, che correva al volante di una 375 MM del 1951 appartenente al “gentleman driver” Allen Guiberson. Nonostante il suo carattere nervoso, Hill – futuro campione di F1 per la Scuderia Ferrari – era un pilota “purosangue”. Nella prima tappa, infatti, Hill era al comando della gara, ma lo strapotere della Ferrari di Maglioli avrebbe presto avuto la meglio. Lungo le pianure desertiche dell’ultimo tratto, nei pressi di Juarez, una folla di 100.000 persone attendeva di vedere arrivare le vetture di testa. La Ferrari di Maglioli si aggiudicò la vittoria dopo aver percorso 3.070 km a una velocità media di 170 km/h.
“I piloti stradali sono come i giocatori della roulette”, dichiarò Maglioli alla stampa dopo la vittoria. “Noi che gareggiamo sappiamo che andiamo incontro a dei pericoli, ma una volta contagiati da questa febbre, non riusciamo più ad accontentarci di nient’altro”.
(P.S.: nel 1964 Umberto Maglioli vinse la 12 Ore di Sebring al volante di una Ferrari 275 P. Si ritirò dalle corse automobilistiche nel 1970 e morì nel 1999).